La “grande” IV domenica di Quaresima: di ristoro e letizia

Siamo finalmente arrivati alla Quarta domenica quaresimale, quae est magna dominica (che è la grande domenica).

Spiegando questa giornata liturgica nel XII secolo, Prepositino di Cremona scriveva:


sex quidem sunt aetates morientium et VIIª quiescientium

(Sei sono le età dei mortali, e la settima è quella di coloro che riposano).

Si trattava, infatti, della settima settimana della Septuagesima che, proprio dal numero 7, simboleggiava il tempo del riposo fondandosi su:

Complevitque Deus die septimo opus suum, […] et requievit die septimo” (“Dio, nel settimo giorno, portò a termine la Creazione […] e nel settimo giorno riposò“. Gn 2, 1).

Einsiedeln, Stiftsbibliothek / Codex 121(1151) p. 147

È il tempo della refectio parola che, anche nel lessico alto-medievale, si apre a due sfumature: Somnusquies (sonno-quiete) e cibi sumptio (il cibarsi). Proprio la Liturgia di quella domenica ancorava la sua sapienziale architettura in un rimando di significati tra il tema della refectio e la simbologia dei numeri 5 e 7.

Il Vangelo che veniva proclamato era la pericope della moltiplicazione dei pani (Gv 6) dove, come Guglielmo di Auxerre commenta:

Dominus refecit et satiavit quinque milia hominum

(“Il Signore ristorò e saziò cinquemila uomini”. Gv 6, 1-15).

La Chiesa, celebrando, fa memoria di questo “segno” operato da Gesù e nell’Introito canta:


Laetare Ierusalem et conventum facite omnes qui diligitis eam: gaudete cum laetitia, qui in tristitia fuistis: ut exsultetis, et satiemini ab uberibus consolationis vestrae”.

(“Rallegratevi con Gerusalemme e adunatevi voi tutti che l’amate: sfavillate con essa di gioia tutti voi che per essa eravate in lutto: così esulterete, e sarete allattati con una consolazione che è per voi“. Is 66, 10-11).

Il testo si rivolge direttamente alla Città Santa, a Gerusalemme e si contestualizza immediatamente nella celebrazione che, come il Sacramentario Gregoriano titola: “Die Domimico ad Hierusalem” (Domenica a Gerusalemme), prevedeva la statio quaresimale alla basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme.

Il canto, nel fare memoria di un evento, si proietta nel futuro e diventa annuncio per la stessa Chiesa, nuova Gerusalemme, “cui eaterna requies promittitur” (alla quale è promesso il riposo eterno). Chi aveva partecipato all’Ufficio notturno, dove aveva potuto meditare il Responsorio: “Audi Israel praecepta Domini et ea in corde tuo quasi in libro scribe. Et dabo tibi terram fluentem lac et mel”.

St. Gallen, Stiftsbibliothek / Cod. Sang. 390 – Antiphonarium officii p. 161

(“Ascolta, o Israele, i precetti del Signore e scrivili nel tuo cuore come in un libro. Ed io ti darò una terra dove scorre il latte e il miele“. Dt 6, 3), già era consapevole di questa promessa.

L’Introito del giorno, allora, “risponde” alla promessa notturna con quel “satiemini ab uberibus consolationis (“siamo saziati ai seni della consolazione“),

due fonti consolanti come 2 è il numero che indica la modalità di quel Responsorio e come sono 2 i Testamenti della Parola di Dio, dai quali sgorgano, per noi, latte e miele: dulces promissiones (le dolci promesse).

All’introito faceva eco la petizione della orazione di Colletta:

Concede, quaesumus, omnipotens Deus, ut qui ex merito nostre actionis affligimur, tue gratiae consolatione respiremus

(“Concedi, ti chiediamo, Dio onnipotente, che, mentre giustamente siamo afflitti per le nostre colpe, possiamo respirare per la consolazione della tua grazia“. Ge 256).

La letizia, liturgicamente, diventa “respiro di consolazione” che si incarna nel fenomeno sonoro di un canto di consolazione ristoratrice. La modalità indicata per l’Introito è il quinto modo, rappresentata dal numero 5, e sembra anch’essa un segno sensibile che fa memoria del segno della grazia divina narrato nel Vangelo. Infatti,

Est autem de quinto tono propter quinque milia hominum, quos refecit

(“L’introito appartiene al quinto modo proprio per i cinquemila uomini che il Signore sfamò“). 

Ma il canto, nell’hodie (oggi) della celebrazione, vuole essere anche insegnamento morale per coloro che lo ascoltano come Agostino già scriveva:  affinchè “non tantum hoc cantamus, sed et agimus” (“non solo lo cantiamo ma lo viviamo“). In questa prospettiva l’Introito appartiene al quinto modo “ideo quia illi, qui cohibent et refrenant et bene ordinant quinque sensus, ibi habebunt huiusmodi refectionem” (“poiché coloro che contengono, frenano e bene ordinano i cinque sensi, lì avranno un ristoro di questa natura” [cioè di consolazione]).

Ma il numero 5 non basta a descrivere questa gioia consolante poiché è il 7 il vero numero che dipinge la refectio. Non causalmente, allora, il Responsorio graduale “Laetatus sum” (“Io gioisco“. Sal 121, 1) appartiene al settimo modo, ovvero “est septimi toni propter septimam aetatem, in qua erimus in quiete” (“è del settimo modo a causa della settima età nella quale saremo nella quiete“).

Graduale Laetaus sum. Graduale Novum p. 84

Ad un cantore attento, tuttavia, c’è un dettaglio che non può sfuggire… L’incipit (inizio) dell’Introito non appartiene al quinto modo. Si tratta di una centonizzazione modale, un’unione di incisi modali di diversa provenienza. L’inizio, infatti, ha il colore del tetrardus (a cui appartengono sia il settimo che l’ottavo modo) e sembra voler anticipare quel canto “proibito” in Quaresima ma espressione meravigliosa proprio della refectio: di gioia e ristoro.

Si tratta dell’Alleluia e, nello specifico, il significativo

Porrentruy, Bibliothèque cantonale jurassienne / Ms. 18 – Graduale p. 195

Alleluia. Confitemini domino quoniam bonus quoniam in saeculum misericordia ejus

(“Alleluia. Celebrate il Signore, perché è buono, perché eterna è la sua misericordia“. Sal 105, 1) che si proclama come annuncio nella Notte di Pasqua. L’Alleluia è quel genere musicale che, nella definizione di Amalario di Metz, “cantatur per festos dies in recordatione aeternae laetitiae” (“Si canta nei giorni di festa in ricordo della gioia eterna“). Un giubilo che allegoricamente vuole comunicare il senso della vox Christi (voce di Cristo) che chiama la sua Chiesa dicendo:

Venite ad me, omnes, qui laboratis et onerati estis, et ego reficiam vos. […] Et invenietis requiem animabus vestris”.

(“Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. […] E troverete ristoro per la vostra anima“. Mt 11, 28-29).

Ma cos’è il vero ristoro dell’anima? Sempre il liturgista metense aggiunge: è “totam vitam in Dei laude ducere (“vivere sempre lodando Dio“). La totalità della vita nella lode, conseguentemente, torna nel tema dell’Offertorio:

Laudate Dominum quia benignus est

(“Lodate il Signore perché è buono“. Sal 134, 3)

che appartiene al secondo modo proprio per mostrare “quod debet laudari Dominus et pro corporali refectione et pro spirituali” (“che si deve lodare il Signore sia per il ristoro del corpo, sia per quello dello spirito“).

La proiezione escatologica, infine, è anch’essa presente nel canto d’Introito di questa quarta domenica di Quaresima il cui testo è preso da Isaia (Is 66, 10-11). Il versetto che lo completa è sempre il Salmo numero 121

qui loquitur de Ierusalem supercelesti: – Laetatus sum -, et vocat eam domum, scilicet refectionis et laetitiae

Einsiedeln, Stiftsbibliothek / Codex 121(1151) – Graduale p. 147

(“- Io mi rallegro -. [Sal 121, 1] che parla proprio della Gerusalemme celeste e la chiama “casa”, cioè dimora di ristoro e gioia“).

La promessa di una dimora di ristoro diventa la forza che orienta la condizione attuale dell’uomo il quale si trova, invece, nella fatica e tribolazione. Così, nella celebrazione, è proprio il secondo canto interlezionale a porsi in dialogo con le promesse dell’Introito e del Graduale. Ciò si realizza presentando, proprio in questo punto della celebrazione, l’immagine che riassume come “adhuc sumus in labore” (“ancora siamo nella fatica e tribolazione“) ma, come lo stesso Tratto canta:

Qui confidunt in Domino

(“Coloro che sperano nel Signore” Sal 124,1)

avranno proprio quel ristoro promesso e, probabilmente, enfatizzato anche dal valore scatologico del numero 8 presente nel suo ottavo modo.

Similmente, anche l’Antifona di Comunione insiste su questo tema ecclesiologico ed escatologico cantando:

Ierusalem quae aedificatur ut civitas

(“Gerusalemme è costruita come città forte“. Sal 121, 3)

La melodia è sviluppata sul quarto modo e sembra voler riflettere le 4 caratteristiche espresse dal testo: comunione, partecipazione, resistenza al Maligno e confessione di speranza.

La gioia eterna, cantata come il dimorare eternamente nella casa del ristoro e della letizia, è la gioia del giorno senza tramonto, quel giorno che è oltre i 7 del settenario della settimana e, conseguentemente, è proprio l’Octava Dies (il Giorno Ottavo): simbolo della Risurrezione e condizione futura di tutti i battezzati in Cristo.

Sarà solo una coincidenza, nell’introito, un’incipit con una formula dell’ottavo modo?

Einsiedeln, Stiftsbibliothek / Codex 121(1151) – Graduale p. 203

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