“Semper exsultet populus tuus, Deus”! Uno jubilus che non è [completamente] sparito

Esulti sempre il tuo popolo, o Dio“! Con queste parole inizia l’orazione di Colletta della terza domenica di Pasqua:

Semper exsultet populus tuus, Deus, renovata animæ iuventute, ut, qui nunc lætatur in adoptionis se gloriam restitutum, resurrectionis diem spe certæ gratulationis exspectet. 

(Esulti sempre il tuo popolo, o Padre, per la rinnovata giovinezza dello spirito, e come oggi si allieta per il dono della dignità filiale, così pregusti nella speranza il giorno glorioso della risurrezione). 

Il canto del Preconio, riservato alla solenne Beneditio Cerei (benedizione del Cero pasquale) nella Veglia di Pasqua, non smette di risuonare nella vita dei cristiani.

Il suo celebre incipit (inizio): Exultet iam! (gioisca in questo momento) echeggia, ora, nelle parole che aprono la Colletta: Exultet semper! (gioisca sempre). Come nel Medioevo commentavano:

Ante Ascensionem [h]ortatur nos Ecclesia ad iubilum et exultationem propter Christi Resurrectionem et Ascensionem. Unde introitus tercie dominice incipit: “iubilate deo“.

(Prima dell’Ascensione la Chiesa ci incoraggia al giubilo e all’esultanza a motivo della Risurrezione e Ascensione di Cristo. Per questo l’introito della terza domenica inizia con: “Acclamate al Signore”! Sal 65,1).

Se, prima dell’ultima riforma liturgica, questa materna esortazione veniva fatta alla quarta domenica di Pasqua, ora la troviamo anticipata alla terza. La fonte medievale, giustamente, si riferisce alla terza domenica dopo Pasqua e non alla terza domenica di Pasqua.

Einsiedeln, Stiftsbibliothek / Codex 121(1151) – Graduale – Notkeri Sequentiae / p. 228

Questa piccola differenza (dopo Pasqua/di Pasqua) si basa su un modo diverso di chiamare le domeniche che seguono la Pasqua che, come leggiamo nell’ultima edizione del Messale, sono tutte Dominicas Paschae (Domeniche di Pasqua) e non più Dominicas post Pascha (Domeniche dopo la Pasqua).

In questa nuova prospettiva, il computo vede la prima domenica che segue Pasqua essere la Dominica II Paschae (Domenica seconda di Pasqua) e, quella che ad essa segue, la Dominica III Paschae (Domenica terza di Pasqua). Prima, invece, quanto si leggeva era: per indicare la prima domenica che seguiva la Pasqua: Dominica in Octava Paschae (Domenica nell’Ottava di Pasqua) e, per quella successiva: Dominica secunda post Pascha (Domenica seconda dopo Pasqua). Con questa premessa possiamo capire che quanto nei commentari medievali era scritto per la tertia (terza) domenca di questo tempo liturgico si riferiva alla nostra quarta domenica di Pasqua.

L’esegesi e contestualizzazione del repertorio cantato in queste domeniche celebrate fra Pasqua e Pentecoste non è semplice. Ci troviamo di fronte ad un problema. Come già avevamo notato per gli Introiti della Quaresima, la Liturgia ha voluto conservare gli antichi canti che davano anche il nome a quelle Domeniche. Dopo la Quasimodogeniti, infatti, seguiva la Domenica Misericordia (oggi posticipata alla quarta domenica di Pasqua). La Domenica Jubilate, allora, era celebrata tre domeniche dopo la Pasqua ed era anche chiamata: De Modicum (Un poco) per la pericope del Vangelo che in essa si leggeva riguardante la Risurrezione:

Evangelium est de Resurrectione: –modicum et non videbitis me-, a morte usque ad Resurrectionem, -et iterum modicum et videbitis me-, post Resurrectionem, et modicum, -quia vado ad patrem-“.

(Il Vangelo parla della Risurrezione [e di ciò che dice Cristo a riguardo]: “un pò e non mi vedrete” (Gv 16,16), riferendosi al periodo dalla sua morte fino alla Risurrezione, “e un poco ancora e mi vedrete” (Gv 16,16) per il tempo dopo la sua Risurrezione “poiché vado al Padre” (Gv 16,17)).

E, similmente, per l’Antifona di Comunione:

Modicum et non videbitis me alleluia iterum modicum et videbitis me quia vado ad Patrem alleluia alleluia

Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete perché me ne vado al Padre” (Gv 16,17)

Possiamo notare come anche questa Antifona “est de Resurrectione” (canti la Risurrezione) non solo attraverso il testo ma anche attraverso l’ottavo modo che sintetizza la gloria di questo evento.

La domenica Jubilate si presentava come la continuazione delle catechesi pasquali indirizzate tanto ai Neofiti, quanto a tutti i Cristiani. Infatti, dalla III domenica di Pasqua: “Per Christi Resurrectionem illuxit nobis Deus, non tantum parvulis sed etiam perfectis” (Dio ci ha illuminati per mezzo della Risurrezione di Cristo, non solo i piccoli ma anche i perfetti). Questa terminologia richiama proprio i gradi del percorso di iniziazione e conversione cristiana: incipientes, proficientes et perfecti (incipienti, proficienti e perfetti), nonché quella di “illuminazione” (φωτισμός) per indicare il Battesimo.

Attorno al “cammino di perfezione” e “al giubilare sempre” si collocavano tutti i testi eucologici, scritturistici e cantati della celebrazione. Appare evidente come lo sforzo per vivere e conservare la Grazia ricevuta nel Battesimo non possa che tradursi in una vita che è canto eterno di esultanza a Dio.

L’Eucaristia si apriva con l’Introito:


Jubilate Deo omnis terra alleluia psalmum dicite nomini eius alleluia date gloriam laudi eius alleluia alleluia alleluia.

Graduel de Laon

Giubila in Dio, o terra tutta, alleluia: innalza inni al suo Nome, alleluia: dà a Lui gloria con le tue lodi, alleluia, alleluia, alleluia. (Sal 65, 1-2)

Una delle particolarità e singolarità di questo Introito è il cantare 5 volte la parola “alleluia” e, più precisamente, due singoli alleluia ed un triplice alleluia finale. Questo dettaglio non passava inosservato e veniva commentato richiamando la Glosa super principium Psalterii (Glossa manoscritta all’inizio del Salterio) di Gilbert de la Porrée:

Et sequitur unum alleluia, quia “iubilus est exultatio mentis habita de eternis” et cetera. Soli autem Deo iubilandum est.

Segue un solo alleluia poiché

il giubilo è l’esultanza della mente abitata dalle cose eterne.

Solo a Dio si deve giubilare.

Quel singolo e primo alleluia diventa la sintesi di: Jubilate Deo omnis terra (“Acclamate Dio, voi tutti della terra” Sal 65,1)

La parte di Salmo che segue: psalmum dicite nomini eius (“cantate un inno al suo nome” Sal 65,2) era interpretata coerentemente secondo la simbologia medievale che vedeva “Psalmi ad opera referunt” (I Salmi significano le opere buone) ossia una immagine della Carità.

Per questo, allora, Guglielmo di Auxerre commenta scrivendo che questa seconda sezione dell’Introito “id est ylari operatione ipsum laudate” (significa lodate [il Signore] con opere di carità che siano gioiose) come anche il Salmo 99 invita: “Jubilate Deo omnis terra, servite Domino in laetitia” (“Acclamate al Signore, voi tutti della terra, servite il Signore nella gioia“. Sal 99,1). Il secondo alleluia singolo, conseguentemente, si spiega: “quia ab una radice ortum habent omnia opera talia, id est ex caritate” (perché tutte queste opere hanno origine da una sola radice, cioè la Carità).

La parte finale è un invito a dare gloria a Dio proprio attraverso la lode trinitaria: “Date gloriam Deo laudi eius” (“date gloria a Dio con la sua lode“. Sal 65,2) che si chiude con il triplice alleuia. Infatti,

Sequitur triplex alleluia, quia a potentia Patris et sapientia Filii et benignitate Spiritus Sancti, qua nos liberavit per Passionem et Resurrectionem, laudandus est Deus.

(Conclude un triplice alleluia perché Dio, che ci ha liberati per la Passione e Risurrezione, deve essere lodato dalla potenza del Padre, dalla sapienza del Figlio e della bontà dello Spirito Santo).

Il Versetto del Salmo che completa l’Introito sembra staccare dal tono di ilare esultanza del testo che lo precede:


Dicite deo quam terribilia sunt opera tua domine in multitudine virtutis tuae [mentientur tibi inimici tui].

P-BRs (Braga) Arquivo da Sé Ms. 034

Dite a Dio, quanto sono terribili le tue opere, o Signore. Nella grandezza della tua forza i tuoi nemici ti mentiranno (Sal. 65, 3).

Perché questo cambio? Perché la necessità di cantare, proprio ora, anche la menzogna dei nemici?

La sapienza degli antichi maestri era consapevole dell rischio di una possibile concupiscenza: “iubilus luxuriat in presumptione, nisi reprimatur per timorem” (il giubilo può insuperbire e diventare presunzione se non è moderato dal timore). Non si sta parlando della paura ma del Santo Timor di Dio, uno dei doni dello Spirito Santo, spirito del Risorto alla sua Chiesa, del quale nella Scrittura leggiamo:

Klosterneuburg, Augustiner-Chorherrenstift – Bibliothek, 1012

Initium sapientiae timor Domini

(“Il principio della sapienza è il timore del Signore“. Sal 111,9).

La Liturgia, in questo modo, è come un medicinale per l’anima e, con materna delicatezza, oltre all’[h]ortari nos ad iubilum et exultationem (allo spronarci al giubilo e all’esultanza) non può esimersi dall'”incutitur timor” (dall’ispirare il Santo Timor di Dio). Non ci deve sorprendere l’accostamento di gioia e timore poiché si tratta di sentimenti genuinamente pasquali come accadde per le donne di ritorno dal sepolcro vuoto: “Et exeuntes cito de monumento cum timore et magno gaudio cucurrerunt nuntiare discipulis eius” (“Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli” Mt 28,8).

All’Antifona introitale segue, come un monito, questo Versetto proprio per fare memoria anche di quanto leggiamo nella Vangelo circa l’annuncio della Risurrezione ai capi dei Sacerdoti:

Et congregati cum senioribus, consilio accepto, pecuniam copiosam dederunt militibus dicentes: “ Dicite: “Discipuli eius nocte venerunt et furati sunt eum, nobis dormientibus”. Et si hoc auditum fuerit a praeside, nos suadebimus ei et securos vos faciemus”. At illi, accepta pecunia, fecerunt, sicut erant docti. Et divulgatum est verbum istud apud Iudaeos usque in hodiernum diem.

(Questi allora si riunirono con gli anziani e, dopo essersi consultati, diedero una buona somma di denaro ai soldati, dicendo: «Dite così: «I suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo». E se mai la cosa venisse all’orecchio del governatore, noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni preoccupazione». Quelli presero il denaro e fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questo racconto si è divulgato fra i Giudei fino ad oggi. Mt 28, 12-15).

Cantare: “Mentientur tibi inimici tui” (“Mentiranno su di te i tuoi nemici“. Sal 65,3) racconta proprio la grande confusione che seguì l’evento della Pasqua e la non comprensione dei segni mirabili che l’accompagnarono (l’oscuramento del Sole e il terremoto) “ex hoc magis confusi sunt et -in multitudine virtutis tue-” (da questo, cioè “dalla grandezza della tua forza” (Sal 65,3), [o Signore, i Giudei] furono fortemente confusi). Ma la confusione dei nemici diventa la gloria di Dio “quod mendatia inimicorum vertit in suum honorem” (poiché Egli trasforma la loro menzogna nel suo onore).

In questa prospettiva, prima dell’ultima riforma liturgica, a questo Introito seguiva proprio l’antica colletta:

Deus, qui errantibus, ut in viam possint redire iustitiæ, veritatis tuæ lumen ostendis: da cunctis qui christiana professione censentur, et illa respuere, quæ huic inimica sunt nomini; et ea quæ sunt apta, sectari.

(O Dio, che agli erranti mostri la luce della tua verità, affinché possano tornare sulla via della giustizia, concedi a quanti si professano cristiani, di ripudiare ciò che è contrario a questo nome, ed abbracciare quanto gli è conforme).

Appare con forza come la preghiera non sia per i Neofiti ma proprio per tutti coloro che, nonostante siano stati raggiunti dalla grazia del Battesimo, sono diventai “erranti” a motivo del peccato. La Colletta risuona come un invito alla conversione, al tornare sulla strada della verità poiché “per Christi Resurrectionem illuxit nobis Deus” (Dio ci ha illuminato proprio per mezzo della Risurrezione di Cristo).

Il tema della camminare nella via giusta era ripreso nella Epistola tratta dalla I Petri (Prima lettera di Pietro):

Carissimi, obsecro tamquam advenas et peregrinos abstinere vos a carnalibus desideriis, quae militant adversus animam.

(Carissimi, io vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai desideri della carne che fanno guerra all’anima. 1Pt 2,11).

 

Per i teologi medievali questo passaggio della Scrittura era in concordanza con l’Introito in virtù di ciò che era considerato un proverbio spirituale di Gregorio Magno:

Et quia gustato spiritu desipere debet omnis caro  

Assaporato lo spirito, tutto ciò che è carne diventa insipido

In questo modo abbiamo potuto vedere come l’Introito Jubilate, che si manifesta nell’ottavo modo anche per ricordarci la gloria della Risurrezione, si collocava perfettamente all’inizio del filo conduttore che attraversava l’intera celebrazione Eucaristica di quella Domenica nella Cinquantina pasquale.

Ed oggi: come si colloca questo Introito?

Ciò che che è mutato, oltre all’anticipazione di una settimana della celebrazione, è l’eucologia e la Parola di Dio proclamata in questa celebrazione. Già abbiamo visto la Colletta del Messale del Concilio Vaticano II che si ispira ad una delle Orationes et praeces in parochia (orazioni e preci in Parrocchia) collocate dopo dopo i formulari per la Pascha annotina (l’anniversario della del battesimo nell’anno seguente alla sua celebrazione) del Sacramentario Gelasiano. In essa è chiaro l’indirizzo ai Neofiti che, però, alla luce di quel “Semper exsultet” (esulti sempre) e “renovata iuventute” (rinnovata giovinezza) può essere esteso a tutti i Cristiani. All’esultanza invita anche la preghiera sulle Offerte: “Suscipe munera, Domine, quæsumus, exsultantis Ecclesiæ, et, cui causam tanti gáudii præstitisti, perpetuæ fructum concede lætitiæ” (Accogli, Signore, i doni della tua Chiesa in festa, e poiché le hai dato il motivo di tanta gioia, donale anche il frutto di una perenne letizia).

L’Offertorio, rimasto invariato,:

Lauda anima mea dominum laudabo dominum in vita mea psallam deo meo quamdiu ero alleluia

Loda, anima mia, il Signore: loderò il Signore per tutta la vita, inneggerò al mio Dio finché vivrò, allelúia. Sal 145, 2

sembra rispondere proprio all’invito dell’Introito: “date gloriam laudi ejus!” (dategli gloria con le sue lodi) e, nella sua parte finale: “quamdiu ero” (fino a quando esisterò), traduce alla prima persona del Cristiano che celebra l’exsultet semper! (esulti sempre) della preghiera di Colletta.

Per quanto riguarda il Vangelo, la pericope de Modicum concludeva proprio con: “Et vos igitur nunc quidem tristitiam habetis; iterum autem videbo vos, et gaudebit cor vestrum, et gaudium vestrum nemo tollit a vobis” (Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia. Gv 16,22). Questo testo è stato sostituito dalla lettura ciclica di Lc 24,13-35 (Lo riconobbero nello spezzare il pane); Lc 24,35-48 (Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno); Gv 21,1-14 (Viene Gesù, prende il pane e lo dà loro, così pure il pesce). L’accento, in questo modo, sembra spostarsi maggiormente sulle apparizioni del Signore Risorto e sul riconoscimento della sua presenza nei segni sacramentali con cui Egli “continua a manifestarsi ai suoi discepoli”.

Lo jubilus, allora, non è sparito da questa domenica ma continua, quasi come un cantus firmus (canto fermo), a sostenere l’intera celebrazione. Del resto, non possiamo negare che anche il riconoscere la presenza viva e vivificante del Risorto in mezzo a noi non possa che essere motivo per cantare nell’esultanza e nella lode.

La Chiesa, con il suo canto e la sua preghiera, non smette di invitare tutti i suoi figli ad “esultare sempre” per la gloria della Risurrezione di Cristo ma lo fa con una consapevolezza che fondata sulla Scrittura meditata dai Padri. L’Alleluia che incontriamo nel Graduale per questa domenica tesse assieme la lode eterna a Dio, la sofferenza di Cristo e la Gloria futura:

Alleluia, Oportebat pati Christum et resurgere a mortuis et ita intrare in gloriam suam

Bisognava che Cristo soffrisse e risorgesse dalla morte, ed entrasse così nella sua gloria (Lc 24, 46).

Per ogni Battezzato, la via che porta alla luce passa per la Croce e, per questo, la Chiesa non smette di pregare per il pellegrinaggio terreno dei suoi Figli come ci ricorda la preghiera dopo la Comunione:

Populum tuum, quæsumus, Domine, intuere benignus, et, quem ætenis dignatus es renovare mysteriis, ad incorruptibilem glorificandæ carnis Resurrectionem pervenire concede

(Guarda con bontà, Signore, il tuo popolo, che hai rinnovato con i sacramenti pasquali, e guidalo alla gloria incorruttibile della Risurrezione).

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