“Ut octavus primo concinat”. Perché l’ottavo canti assieme al primo

Prima di chiamare “Dominica in albis” la prima Domenica dopo Pasqua, essa , in alcune fonti liturgiche, porta il nome di “Dominica post albas” (Domenica dopo le albe). Il computo dell’Ottava pasquale, infatti, iniziava con il Sabato Santo e la sua Veglia e, conseguentemente, i giorni in cui si dilata il Responsorio graduale: ‘”Haec dies” (Questo giorno [di Pasqua]), sono “sex dies qui inter duo sabbata sunt” (I sei giorni che trascorrono fra il Sabato Santo e quello successivo). La simbologia legata al numero 6 vede in esso un richiamo ai 6 giorni della Creazione (Gn 1, 1-30) e al “labor” (lavoro) svolto in essa da Dio. Ad essi segue il settimo giorno, il Sabato che, in virtù del riposo divino, gli autori medievali chiamano “Sabbatissimus“. Alcune testimonianze vedono la correzione di questo vocabolo con “sabbatismus“, ovvero l’osservanza del principio sabbatico giudaico. Appare interessante, però, anche il valore di superlativo assoluto che assume questa parola con l’aggiunta del suffisso “-issimus“. Anche se non si tratta di un aggettivo, quel Sabato presenta delle caratteristiche tali da collocarlo in un grado più alto e senza nessun confronto con altri sabati feriali ossia “assoluto”.

Eppure il confronto, anzi, la relazione stretta c’è ed è tra il Sabato Santo e il “Sabato sabbatissimus”, ovvero in albis. Addirittura, dovremmo considerare un terzo sabato in questo gioco di rimandi e relazioni liturgiche: la Vigilia di Pentecoste. Stiamo parlando di tempi battesimali che, a partire da una celebrazione di Vigilia nella notte del Sabato, si prolungano per una Ottava. (Dobbiamo pensare allo sviluppo antico della festa di Pentecoste come tempo in cui battezzare coloro che, per qualche motivo, non avevano potuto ricevere questo sacramento nella Veglia pasquale).

Sant’Agostino è testimone di questo uso e scrive:

Haec de Scripturis firmissime tenentur, id est Pascha et Pentecostes. […] sic etiam ut octo dies Neophytorum distinguantur a caeteris, id est, ut octavus primo concinat“. 

(Quanto ti ho detto sul tempo della Pasqua e della Pentecoste ha fondamento saldissimo nella Scrittura, […] come pure l’usanza che gli otto giorni dei Neofiti fossero celebrati in modo distinto da tutti gli altri, cioè in modo che l’ottavo canti assieme al primo quanto alla solennità). 

Nonostante alcuni traduttori di Sant’Agostino leggano quel “concinat” come un “corrisponda”, il verbo in questione è “concino” che significa proprio “cantare assieme”. Allora, il Tratto della notte di Pasqua “Laudate dominum” (Lodate il Signore) risuona anche nella Veglia di Pentecoste.

Laudate dominum omnes gentes et collaudate eum omnes populi

Lodate il Signore, popoli tutti, voi tutte, nazioni, dategli gloria. Sal 116,1

Ma, a questo punto, si crea un problema che sembra un gioco matematico. L’ottavo deve cantare con il primo. L’ottavo, però è il settimo poiché dal giorno del Sabato Santo, dopo 6 giorni, si arriva al settimo giorno che è il Sabato in Albis. Questo giorno, il settimo, rappresenta il settimo giorno della Creazione quando Dio si riposò:

Complevitque Deus die septimo opus suum, quod fecerat, et requievit die septimo ab universo opere, quod patrarat.
Et benedixit Deus diei septimo et sanctificavit illum, quia in ipso requieverat ab omni opere suo, quod creavit Deus, ut faceret”.

“Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto”. (Gn 2, 2-3)

Per i Neofiti, diventa simbolo del Sabato eterno: “qui eos introducit ad patriam repromissionis, ubi est requies sempiterna, non revertens ad aliquem laborem” (Poichè Dio li ha introdotti nella Terra promessa dove c’è il riposo eterno e non si dovrà tornare a lavorare).

Nella simbologia medievale dei generi musicali “tractus significat laborem” (Il Tratto significa il lavoro). Allora, in quel singolare settimo giorno (il Sabato dell’Ottava) non si poteva cantare il Tratto e doveva essere sostituito con un altro genere musicale. Se consideriamo quanto dice a riguardo Alcuino di York: “Tunc sabbatissimus aeternae quietis dies omnibus sanctis erit; ibi videbitur qui amabitur, et qui amabitur, laudabitur” (Allora quel Sabato eterno sarà un giorno di riposo eterno per tutti i Santi; in quel momento vedremo Colui che ameremo e ameremo Colui che loderemo).

Colui che vedremo e ameremo è il Signore e proprio Alleluia “Domini laudem sine tristitia” (è una lode al Signore senza tristezza) che, come Amalario di Metz specifica, si canta proprio in recordatione aeternae laetitiae (per fare memoria della gioia eterna). Ancora oggi la Liturgia conserva questa caratteristica di farci fare memoria della gioia che abbiamo acquistato nel Battesimo e ci dona, proprio nel Sabato dell’Ottava di Pasqua, due Alleluia:

Alleluia. Haec dies quam fecit dominus exsultemus et laetemur in ea

Alleluia Laudate pueri Dominum laudate nomen Domini.

l primo Alleluia riafferma quanto il Responsorio Graduale aveva cantato nei giorni precedenti: “Haec dies quam fecit dominus exsultemus et laetemur in ea” (“Questo è il giorno che fece il Signore: esultiamo e rallegriamoci in esso”.  Sal 117, 24). Il secondo, invece, inzia a presentare il tema dell’infanzia spirituale e canta: Laudate pueri dominum laudate nomen domini (“Fanciulli lodate il Signore, lodate il nome del Signore“. Sal 112).

Guglielmo di Auxerre così commenta la presenza di un doppio Alleluia: “et ideo cantatur unum Alleluia pro baptizatis: “laudate pueri dominum”, aliud de Resurrectione: “hec dies, quam fecit dominus“. (Un’Alleluia si canta facendo memoria della Risurrezione: “Questo è il giorno che ha fatto il Signore” e uno si canta per i Battezzati: “Lodare fanciulli il Signore“). Anche la modalità gregoriana dei due Alleluia sembra ribadire ciò e, infatti, il primo vede un ottavo modo: “propter gloriam Resurrectionis, que dabitur in octaua etate” (per la gloria della Risurrezione che sarà donata nell’ottava età). Il secondo, poi, è nel quarto modo “propter quatuor dotes corporis” (per le 4 caratteristiche dei corpi alla Risurrezione) che sono anticipate nel Battesimo.

Il segno visibile della Veste bianca, l’alba, indossata dai Neofiti per simboleggiare la nuova vita iniziata con il Battesimo veniva tolta e, infatti,:  “baptizati deponunt vestem suam candidam, […] ut sint solliciti servare in corde candorem virtutum, quam in Baptismo per Passionem Christi receperunt. “Beatus enim, qui custodit vestimenta sua, ne nudus ambulet “, in  apocalipsi, et in ecclesiaste: “omni tempore uestimenta tua sint candida“. (I battezzati depongono la loro veste candida per essere, ora, solleciti nel conservare nel cuore il candore delle Virtù che hanno acquistato nel Battesimo per mezzo della Passione di Cristo. Come leggiamo nel libro dell’Apocalisse “Beato chi è vigilante e custodisce le sue vesti per non andare nudo” (Ap 16,15) e in Qoelet: “Siano le tue vesti bianche in ogni tempo” Qo 9,8).

L’Antifona di Comunione, in quel Sabato, ricordava proprio questo:

Omnes qui in Christo baptizati estis, Christum induistis.

Quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Gal 3,27

Anche la modalità gregoriana si associa nel ribadire quanto il testo sta cantando. Il numero 2, infatti simboleggia proprio quanto profetizzato da Isaia: “In terra sua duplicia possidebunt, laetitia sempiterna erit eis” (“Nella loro terra possederanno una duplice realtà, avranno una gioia eterna. Is 61,7). Questa profezia si compirà nel futuro escatologico. “Octava Resurrectionis, quando habebitur duplex stola anime et corporis” (L’Ottava della Risurrezione quando avremo il dono della duplice stola: dell’anima e del corpo). Infatti, come anche Dante scriveva, in Paradiso solo Cristo e la Vergine Maria hanno questa duplice veste ma è una condizione alla quale tutti tendiamo come ci ricorda la visione di Apocalisse:

“Post haec vidi: et ecce turba magna, quam dinumerare nemo poterat, ex omnibus gentibus et tribubus et populis et linguis stantes ante thronum et in conspectu Agni, amicti stolis albis, et palmae in manibus eorum”

Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. Ap 7,9

Anche se, un pò alla volta, la memoria dell’Ottava del Battesimo si sposta alla domenica che segue la Pasqua, la Liturgia non ha rinunciato a mantenere il desiderio che “octavus primus concinat” (l’ottavo canti col primo).

Anche la Domenica in albis vede nel suo Introito il tema esplicito dell’infanzia spirituale e della rinascita:

Quasi modo geniti infantes alleluia rationabiles sine dolo lac concupiscite

Quali neonati, alleluia: bramate il latte spirituale e puro. 1Pt 2,2

È interessante notare come i commentari medievali non spendano molte riflessioni nel commentare questa celebrazione. Si tratta di una Ottava: quanto in essa si celebra è già stato commentato nella spiegazione della Pasqua e del Battesimo. Come Guglielmo osserva, c’era varietà nel modo di celebrare quel giorno: “In dominica sequenti fiunt octave in quibusdam ecclesiis, propter venerationem sollempnitatis Pasche, vel propter octavam generalis resurrectionis et cantatur in matutinis et in missa idem officium, quod et in Pascha“.  (In alcune chiese, alla Domenica che segue [la Pasqua] si celebra l’Ottava per la venerazione della solennità pasquale o, in generale, per l’Ottava (escatologica) della Risurrezione e si canta, sia nel Mattutino, sia nella Messa, quanto si era cantato nel giorno di Pasqua)

La ritualità collegata alla spoliazione dalle albe, ugualmente, viene descritta nella liturgia del Sabato in albis. La presenza di un duplice Alleluia, in fine, è giustificata come nel giorno precedente: “Sequitur duplex alleluia propter duplicem stolam” (Segue un duplice Alleluia per la duplice stola).

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