Quel gaudio spirituale che sostiene il cammino

La preghiera della notte della terza domenica di Avvento vede un nuovo invitatorio. Il canto che aveva svegliato i chierici nel cuore della notte, nelle domeniche precedenti, era stato:

Regem venturum Dominum venite adoremus

Venite, adoriamo il Re Signore che sta per venire

Si tratta di un canto con un valore molto pratico: “et dicit per invitatorium ad Ecclesiam invitari” (e si dice l’invitatorio per invitare [i fedeli] in chiesa). Amalario di Metz (IX secolo) descrive l’intonazione di questa antifona come un “tuba cantoris signum” (un segnale, quasi un ordine o invito dato dalla tromba del cantore) il cui scopo è “excitare christiani circumquaque” (chiamare i cristiani da tutt’intorno) affinché possano accorrere alla preghiera. La preghiera è descritta come schola, opportunità di ascoltare e imparare dai dottori e pastori della Chiesa che ci parlano attraverso la liturgia. Dalla terza domenica di Avvento fino alla Vigilia di Natale, l’antifona d’invitatorio che apre i notturni è:

Prope est jam Dominus venite adoremus

Il Signore è ormai vicino, venite adoriamo

Si tratta di un grido di letizia che irrompe in questa attesa della Chiesa che vede sempre più vicina la venuta del suo Signore. Da questa domenica, proprio l’avverbio “prope” (vicino) inizia a comparire con maggior frequenza, quasi anelante insistenza, nei testi liturgici.

Dopo l’invitatorio e quasi obbedendo a quanto cantato nel salmo che seguiva la sua antifona: “praeoccupemus faciem ejus in confessione et in psalmis jubilemus ei” (Accostiamoci a lui per rendergli grazie, a lui acclamiamo con canti di gioia. Sal 95, 2), si cantavano i 12 salmi.

Come per le altre domeniche di questo tempo di Avvento, il primo responsorio che si canta nella notte sembra rivestito di un valore, non solo simbolico, ma anche di chiave ermeneutica. Alla lettura dell’inizio del capitolo 26 di Isaia “In die illa cantabitur canticum” (In quel giorno si canterà questo canto) seguiva questo responsorio:

Ecce apparebit Dominus super nubem candidam, et cum eo sanctorum milia; et habens in vestimento et in femore suo scriptum: rex regum, et Dominus dominantium.

Ecco, il Signore apparirà su una nube bianca, e con lui mille santi. E avrà nelle sue vesti e sul femore scritto: Re dei re e Signore dei signori.

Il testo di questo responsorio sembra riprendere la visione descritta in Apocalisse: “Io guardai ancora ed ecco una nube bianca e sulla nube uno stava seduto, simile a un Figlio d’uomo” (Ap 14, 14) e ancora: “ Un nome porta scritto sul mantello e sul femore: Re dei re e Signore dei signori” (Ap 19, 16). L’orecchio e la comprensione liturgica di chi, fino a pochi decenni fa, meditava questi testi nel canto non poteva restare indifferente ad un dettaglio. Qui si tratta certamente di una citazione esplicita del libro dell’Apocalisse ma, allo stesso tempo, sembra una citazione implicita di quel responsorio che avevano cantato 15 giorni prima: “Aspiciens a longe ecce video dei potentiam venientem et nebulam totam terram tegentem“. La potenza di Dio che sta venendo incontro all’umanità inizia, ora, a prendere un nome: è il Re dei re e Signore dei Signori.

La terza domenica di Avvento è sicuramente nota per essere la domenica Gaudete. Il tema della gioia, nella sua liturgia, entra con dolcezza. Le letture della notte sembrano non accennarla e, i testi dei Padri della Chiesta, presentano addirittura una riflessione sul digiuno: “Fiat refectio pauperis, abstinentia ieiunanti“! (Si provveda a nutrire i poveri, facciano astinenza coloro che stanno vivendo il digiuno di questo tempo). così ammoniva nel secondo notturno il sermone di papa Leone. Il periodo dell’Avvento, a differenza di oggi, era un tempo di digiuno e penitenza. Come la Quaresima presenta una domenica di refectio (ristoro), la quarta detta Laetare, su quel modello anche l’Avvento la vive alla terza. Il senso di questa celebrazione, allora, può essere colto in pienezza solo pensando alla serietà di un cammino di Avvento che non era solo sentimentale ma prevedeva una dimensione penitenziale che si traduceva proprio col digiuno. (Tutt’oggi la tradizione è conservata in molte comunità monastiche, addirittura iniziando da dopo la festa di San Martino).

Perché la necessità di meditare, nella domenica Gaudete, su una lettura che parlava del digiuno?

La terza domenica di Avvento dava inizio a quella settimana che vedeva il digiuno delle Quattro Tempora che si praticava il mercoledì, il venerdì e il sabato seguenti. Nonostante l’Avvento fosse anche tempo di austerità, questi digiuni appartenevano ad una istituzione generale dell’anno liturgico.

Si ascoltava il monito del profeta Zaccaria: “Così dice il Signore degli eserciti: Il digiuno del quarto, quinto, settimo e decimo mese si cambierà per la casa di Giuda in gioia, in giubilo e in giorni di festa, purché amiate la verità e la pace” (Zc 8, 19). Dicembre, in questo computo, corrisponde al decimo mese. Nel digiuno della feria sexta (del sabato), inoltre, avevano luogo le Ordinazioni presbiterali. Perchè?

Nel XII secolo la spiegazione era questa: “quia illa dies Spiritui Sancto est consecrata” (perchè quel giorno è consacrato allo Spirito Santo) ed era in risposta al precetto divino contenuto nel libro dell’Esodo: “Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo” (Es 20, 8) e, si conseguenza, “quia recipiunt dona Spiritus Sancti in ordinibus, tali die ordinantur” (poichè [i Presbiteri] ricevono i doni dello Spirito santo nell’ordinazione, in tale giorno sono consacrati). Questo valeva solo per i Presbiteri poiché le ordinazioni episcopali dovevano essere celebrate nel giorno di domenica “ad ostendendum, quod ipse est vicarius apostolorum, qui in die dominica, scilicet in die Pentecostes, virtutem Spiritus Sancti ex alto susceperunt” (per mostrare che essi sono vicari degli Apostoli che nel giorno di domenica, ovvero nella Pentecoste, hanno ricevuto, dall’alto, il dono dello Spirito Santo).

Passando ora alla Messa possiamo fare qualche osservazione sul celebre introito Gaudete.

Gaudete in Domino semper iterum dico gaudete modestia vestra nota sit omnibus hominibus dominus prope est nihil solliciti sitis sed in omni oratione petitiones vestrae innotescant apud Deum.

Gioite sempre nel Signore: ve lo ripeto: gioite. La vostra modestia sia manifesta a tutti gli uomini: il Signore è vicino. Non siate ansiosi per alcuna cosa, ma in ogni circostanza fate conoscere a Dio i vostri bisogni (Fil 4, 4-5)

Certamente esistono molti commenti a questo brano che insistono sul tema della gioia. Sorprende, allora, che un teologo come Guglielmo di Auxerre ponga, invece, l’accenno sul significato di attesa del secondo Avvento presente in questo testo. L’esegesi che propone del brano di Efesini suona così: “Apostolus enim non loquitur de primo adventu, cum dicit: “Dominus prope est “, sed de secundo, unde  invitat ad gaudium spirituale, per quod firmiter expectamus gaudia secundi adventus” (L’Apostolo, infatti, non ci parla del primo Avvento quando dice ‘Il signore è vicino, ma del secondo per il quale invita al gaudio spirituale per cui, con fermezza, aspettiamo le gioie del secondo Avvento). La gioia spirituale è descritta come la condizione necessaria, e per questo viene ripetuta due volte, “dulciter sustinere omnia aspera mundi, ut nichil avellat nos a spe aeternorum” (per sopportare dolcemente tutte le asprezze del mondo, perché nulla possa strapparci alla speranza dell’eternità). Come conservare questa gioia nel pellegrinaggio verso la venuta del Signore? “Huius gaudii custos est modestia” (Con la modestia che è custode di questa gioia). La modestia non è solo una virtù ma è un frutto dello Spirito come possiamo leggere nella lettera ai Galati: “Il frutto dello Spirito invece amore, gioia, pace, pazienza, longanimità, bontà, benevolenza, mitezza, fedeltà, modestia, continenza, castità” (Gal 5, 22-23). Nell’Epistola, che presentava interamente il testo di Paolo ai Filippesi (Fil 4, 4-7), si trovava un ulteriore approfondimento del tema di questa gioia: “hoc gaudium, quod est pax menti” (questa gioia è la pace della mente). Leggiamo infatti: “Et pax Dei, quae exsuperat omnem sensum, custodiat corda vestra, et intelligentias vestras, in Christo Iesu Domino nostro” (E la pace di Dio, che sopravanza ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù nostro Signore).

Il Responsorio Graduale, come l’Alleluia, vede il testo dal Salmo 80: “Tu, pastore d’Israele, ascolta, tu che guidi Giuseppe come un gregge. Assiso sui cherubini rifulgi  davanti a Efraim, Beniamino e Manasse. Risveglia la tua potenza e vieni in nostro soccorso“.

Qui sedes Domine super Cherubim excita potentiam tuam et veni [ut salvos faciat nos]

Assiso sui cherubini rifulgi, risveglia la tua potenza e vieni [in nostro soccorso] (Sal 80 2-3).

Dal Salmo 80 manca una parte di testo: “davanti a Efraim, Beniamino e Manasse” che veniva ugualmente interpretata partendo dal suo significato etimologico e morale per cui: Efraim: “id est fructificantem in bonis operibus” (cioè che porta frutto nelle buone opere); Beniamino: “id est filium dextre” (cioè figlio della destra [ovvero “della fortuna”]) e Manasse “qui oblitus est terrenorum” (che si scorda delle cose terrene). Queste tre realtà ci parlano del Giudizio e, di conseguenza ci proiettano nel secondo Avvento.

Oltre al Salmo 80, è il Salmo 85 a tornare due volte in questa liturgia. Esso, infatti, costituisce il versetto dell’introito e il testo dell’offertorio e viene letto come una testimonianza del primo Avvento del Signore:

Benedixisti domine terram tuam avertisti captivitatem Jacob remisisti iniquitatem plebis tuae

Hai benedetto, o Signore, la tua terra: liberasti Giacobbe dalla schiavitú: perdonasti l’iniquità del tuo popolo. (Sal 85, 2).

L’antifona di comunione presenta un testo dal profeta Isaia:

Dicite pusillanimes confortamini et nolite timere ecce Deus noster veniet et salvabit nos

Dite agli smarriti di cuore: Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio viene e ci salverà

La scrittura musicale sembra insistere proprio sulla necessità di confortare chi è pusillanime. Questo vocabolo si deve comprendere nell’accezione di persona priva di volontà e di forza d’animo. Questa sottolineatura della retorica della melodia gregoriana è confermata anche dall’interpretazione teologica medievale che ci dice: “Oportet enim, quod pusillanimes confortentur ad hoc, ut sustineant tribulationes, et sic expectent cum fiducia secundum adventum” (Bisogna, infatti, che i pusillanimi siano confortati per questo motivo: affinché possano sopportare le tribolazioni e così aspettino con fiducia il secondo Avvento).

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