Il Vangelo è canto di gioia: Vocem jucunditatis

La sesta domenica di Pasqua è la domenica De jucunditate (della letizia). Il nome le deriva proprio dal suo Introito:


Vocem jucunditatis annuntiate et audiatur alleluia nuntiate usque ad extremum terrae liberavit dominus populum suum alleluia alleluia

Annunciate la voce di gioia, e che sia ascoltata, alleluia. Annunciatela fino all’estremità della terra: il Signore ha liberato il suo popolo (Is 48, 20).

Le parole di Isaia diventano un monito per i predicatori ad annunziare “vocem jucunditatis” (una voce di gioia). La vox (voce) non è il mezzo per annunciare ma proprio il contenuto dell’annuncio. Infatti: “– vocem iocunditatis -, id est Novum Testamentum” (la “voce di gioia” è il Nuovo Testamento). Le quattro domeniche che hanno preceduto questa quinta post Pascha (quinta domenica dopo la Pasqua) rappresentano le 4 virtù cardinali (Prudenza; Giustizia; Fortezza; Temperanza) che, come un’armatura, ci hanno preparano a portare l’annuncio del Vangelo nel mondo “ut qui audit, dicat veni” ( “affinché chi ascolta ripeta: «Vieni!»“. Ap 22, 17). La gioia del Vangelo, che è ciò che i cristiani hanno ricevuto, va donata proprio come annuncio “usque ad extremum terrae” (“fino ai confini della terra“. Is 40, 20). E l’annuncio genera annuncio in quella meravigliosa dinamica descritta nell’Apocalisse: “Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni!». E chi ascolta ripeta: «Vieni!»” (Ap 22, 117).

Come descrivere la voce di gioia che è Vangelo?

La Liturgia riformata dopo il Concilio Vaticano II ha conservato nella sesta domenica di Pasqua l’Offertorio Benedicite.

Benedicite gentes Dominum Deum nostrum

Popoli, benedite il Signore Dio nostro (Sal 65,8).

Il testo di questo canto è preso dal Salmo 65: “Benedicite gentes Dominum Deum nostruet obaudite vocem laudis eius: qui posuit animam meam ad vitam, et non dedit commoveri pedes meos: benedictus Dominus, qui non amovit deprecationem meam, et misericordiam suam a me” (“Benedite, popoli, il nostro Dio, fate risuonare la sua lode; è lui che salvò la nostra vita e non lasciò vacillare i nostri passi. Sia benedetto Dio che non ha respinto la mia preghiera, non mi ha negato la sua misericordia“. Sal 65, 6-8.20).

Nel suo testo incontriamo la parola “vocem” (la voce) che è specificata come “vocem laudis” (voce di lode). L’espressione è preceduta dal verbo: obaudite che, nella traduzione italiana, diventa: fate risuonare la sua lode“. Letteralmente si potrebbe leggere: “obaudite vocem laudis eius” come “ascoltate la sua voce di lode“.

Il collegamento testuale fra Introito e Offertorio è evidente: “Vocem jucunditatis annuntiate” (Annunciate la voce di gioia) – “Obaudite vocem laudis eius” (Ascoltate la sua voce di lode). Proprio la Prima lettera di Giovanni, infatti, dice: “Quod vidimus et audivimus, annuntiamus et vobis” (“Ciò che abbiamo visto e ascoltato lo annunziamo a voi” 1Gv 1, 3). Ciò che Discepoli, e noi con loro, abbiamo visto e udito: il Vangelo, è voce di lode. Un ulteriore collegamento potrebbe essere visto in questo contesto.

Cos’è una voce di lode?

Agostino diceva: «Alleluia enim laus Dei est» (l’Alleluia, infatti, è la lode di Dio). Forse per questo motivo l’Introito vuole dipingere l’annuncio del Vangelo attraverso una scrittura molto fiorita e ricca di neumi quasi che ci ricorda lo jubilus dell’Alleluia. Chiudendo il ragionamento, la Liturgia in questa domenica si apre facendoci fare esperienza di ascolto della gioia dipinta nel canto attraverso lo jubilus. Un simbolo efficace e sintetico per riassumere il Vangelo e la sua novità come come canto di gioia.

Dominica Rogate

Sempre la Dominica V post Pascha (quinta domenica dopo la Pasqua) era tradizionalmente chiamata la domenica Rogate (pregate) “quia illa dominica propinqua est rogationibus” (perché quella domenica è vicina alle Rogazioni). Nei tre giorni che seguono, infatti, avevano luogo le Rogazioni e la celebrazione domenicale era vista come una preparazione a quelle liturgie.

Attraverso la Colletta “docemur petere duo rectam cogitationem et rectam operationem” (insegniamo a chiedere due cose: i retti pensieri e le rette azioni).

Deus, a quo bona cuncta procedunt, largire supplicibus tuis: ut cogitemus, te inspirante, quae recta sunt; et, te gubernante, eadem faciamus.

O Dio, da cui procede ogni bene, concedi a noi supplici di pensare, per tua ispirazione, le cose che son giuste; e, sotto la tua direzione, di compierle. 

Il tema era ripreso nell’Epistola dove Giacomo redarguisce “qui volunt cognoscere et non facere, dicens: – estote factores verbi et non auditores tantum –” (coloro che vogliono conoscere ma non fare dicendo: “siate persone che mettono in pratica la Parola e non solo ascoltatori” Gc 1, 22).

Il tema del “petere” (chiedere) era ripreso nel Vangelo che “ostendit, quid debeamus petere,  scilicet eterna: “usque modo non petistis quicquam in nomine meo” (ci mostra cosa dobbiamo chiedere, cioè le cose eterne: “Finora non avete chiesto nulla nel mio nome” Gv 16, 24).

C’è gioia anche nel chiedere

La preparazione alle Rogazioni e l’annuncio del Vangelo come canto di gioia potrebbero sembrare due temi lontani. Il collegamento, però, si trovava proprio nel Vangelo di Giovanni che veniva proclamato e consiste in un “quid” (che cosa). Guglielmo di Auxerre ammoniva:  “Qui enim petit temporalia, nichil petit” (Chi chiede cose terrene è come se non chiedesse nulla). La preghiera si fonda su una certa speranza: “- petite et accipietis -“, quia manus dextera Domini semper aperta est” (“chiedete e otterrete” Gv 16, 24, perché la mano destra del Signore è sempre aperta). Quanto dobbiamo chiedere al Signore, il “quid“, consiste nelle sole cose eterne. Una preghiera di questo tipo porta i suoi frutti poichè si fonda sulla sua Parola che ci dice: “Petite et accipietis, ut gaudium vestrum sit plenum” (“Chiedete e otterrete perché la vostra gioia sia piena“. Gv 16, 24). 

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