Dominica in ramis palmarum. La Passione e i suoi frutti.

Et ideo facit ecclesia processionem

(Perciò la Chiesa fa una processione)

Nella liturgia della Domenica delle Palme risuona l’ammonizione del diacono che canta:

Imitemur, fratres carissimi, turbas acclamantes Iesum, et procedamus in pace”.

(Imitiamo, fratelli carissimi, le folle acclamanti Gesù e procediamo in pace).

Ma come può essere interpretato questo invito: “imitemur” (imitiamo)?

Nel Medioevo si invitava a coglierne un duplice senso: la Chiesa, in quel giorno, realizzava una duplice processione che significava una duplice “uscita”:

corporaliter et spiritualiter” (con il corpo e con lo spirito).

La processione delle Palme, infatti, permette di

recolere ingressum Christi Domini in Ierusalem ad consummandum suum Paschale Mysterium

(fare memoria dell’ingresso del Signore Gesù Cristo a Gerusalemme per portare a compimento il suo Mistero Pasquale).

Ma non si tratta solo di realizzare la drammatizzazione di un episodio del Vangelo ma di iniziare una profonda meditazione del Mistero Pasquale che esige una preparazione.

Questo il senso del cantare proprio la famosa Antifona:

Pueri Hebraeorum tollentes ramos olivarum obviaverunt Domino clamantes et dicentes: hosanna in excelsis”.

(I fanciulli ebrei, recando rami di ulivo, andarono incontro al Signore, acclamando e dicendo: “Osanna nell’alto dei cieli“! Gv 12,13)

Per celebrare degnamente la Pasqua, allora, la processione delle Palme diventa occasione per vivere un’uscita spirituale “extra delicias carnis” (che ci allontana dai piaceri della carne), una processione interiore che la Lettera agli Ebrei così descrive:

Exeamus igitur ad eum extra castra, improperium eius portantes, non enim habemus hic manentem civitatem, sed futuram inquirimus

(“Usciamo dunque anche noi dalla città e andiamo verso di Lui, portando il suo obbrobrio, perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura“. Eb 13,13-14).

Imitare quei fanciulli ebrei significa:

et nos debemus esse pueri, id est innocentes, et debemus esse pueri hebreorum, id est transiliencium omnia terrena

(che noi dobbiamo essere fanciulli, cioè innocenti, e dobbiamo essere come quei fanciulli ebrei, cioè passare oltre le cose terrene).

“Et legitur Evangelium de Matheo: “cum apropinquasset”

(E si legge il Vangelo di Matteo: “quando furono vicini [a Gerusalemme]” Mt 21,1).

La motivazione del clima festante della celebrazione è chiaro fin dall’inizio. C’è una sacramentalità in questa memoria dell’ingresso di Cristo a Gerusalemme che, già all’inizio della celebrazione, vede la presenza del Signore nella sua Chiesa. Infatti, nella Statio (la “stazione” celebrativa”, ovvero il luogo in cui ci si raduna per la benedizione e inizio della processione):

“cum devocione et leticia suscipiatur verbum Dei sicut susceptus est Christus, qui est Dei uerbum, cum leticia in Ierusalem a pueris”

(con devozione e gioia è accolta la Parola di Dio così come Cristo, che è la Parola di Dio, è accolto con gioia a Gerusalemme dai fanciulli).

Orémus.
Deus, qui dispérsa cóngregas, et congregáta consérvas: qui pópulis, óbviam Jesu ramos portántibus, benedixísti: béne  ✠ dic étiam hos ramos palmæ et olívæ, quos tui fámuli ad honórem nóminis tui fidéliter suscípiunt; ut, in quemcúmque locum introdúcti fúerint, tuam benedictiónem habitatóres loci illíus consequántur: et, omni adversitáte effugáta, déxtera tua prótegat, quos rédemit Jesus Christus, Fílius tuus, Dóminus noster: Qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus per omnia saecula saeculorum. Amen.
(Preghiamo.
O Dio, che raduni le cose disperse e conservi quelle radunate; che benedicesti il popolo uscito incontro a Gesù con rami in mano; degnati di benedire anche questi rami di palma e di olivo, che i tuoi servi prendono con fede in onore del tuo nome; affinché rechino la tua benedizione a quanti abitano nei luoghi in cui sono portati; e, allontanata cosi ogni avversità, la tua destra protegga coloro che sono stati redenti da Gesù Cristo, tuo Figlio, Signore nostro. Lui che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.)

L’Antifona che seguiva la proclamazione del Vangelo e la benedizione ed esorcismo dei rami di palme e olivo era:

Occurrunt turbae cum floribus et palmis Redemptori obviam et victori triumphanti digna dant obsequia Filium Dei ore gentes praedicant et in laude Christi voces tonant per nubila hosanna“.

(Le turbe vanno incontro al Redentore con fiori e palme, al vincitore trionfante rendono degno omaggio. Le genti lo acclamano Figlio di Dio e nel nome di Cristo risuona nell’aria il canto: Osanna. )

Ancora una volta diventa esortazione morale con cui interpretare l'”imitermur” (imitiamo) visto all’inizio. Se i fanciulli accorsero con fiori e palme noi, ora, dobbiamo accorrere per accogliere la Parola di Dio che ci è donata “cum floribus virtutum et palmis victoriarum” (con fiori di virtù e palme di vittoria).

Si tratta di un canto che è già pasquale. Ad evidenziarlo è la presenza di quel numero 8 che sintetizza la modalità:

 De octavo tono propter victoriam Christi in se et in membris, per quam venitur ad victoriam Resurrectionis.

(Dell’ottavo modo per la vittoria di Cristo in sé e nelle sue membra, per la quale giungiamo (anche noi) alla vittoria della Risurrezione)

Anche il Carme di Teodolfo:

Gloria, laus et honor, tibi sit, Rex Christe redemptor: Cui puerile decus prompsit Hosanna pium

(Gloria, lode e onore, sia a te, Cristo Redentore: Cui la virtù dei fanciulli cantò piamente: Osanna).

veniva letto nel suo senso tropologico: insistendo, ancora una volta, sulla purezza necessaria per accogliere degnamente la venuta del Messia: “quia innocentes, laudant dominum” (poichè gli innocenti lodano il Signore). 

Molto significativo, poi, il simbolo della Croce adornata coi rami d’ulivo che si portava in processione in questo giorno.

“Infiguntur rami virides in Cruce”

(Si fissano dei rami verdeggianti alla Croce)

“quia Christus fuit ramus viridis habens in se omnem virorem virtutum et nos ab eo”.

(perché Cristo fu ramo verdeggiante che aveva in sé tutto il vigore delle virtù e noi [le abbiamo ricevute] da Lui”)

La Chiesa, contemplando quel Crocifisso adornato di verdi rami d’olivo medita su di Lui come l’unica sorgente di ogni forza per vivere la Passione e fa memoria proprio delle sue parole quando disse:

“Si in viridi hoc fiunt, in arido quid fiet ?”

(“Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?” Lc 23, 31.)

La processione che si dirigeva verso la Chiesa era accompagnata dall’Antifona:

Ingrediente domino in sanctam civitatem Hebraeorum pueri resurrectionem vitae pronuntiantes cum ramis palmarum hosanna clamabant in excelsis

(Mentre il Signore entrava nella città santa, i fanciulli ebrei proclamavano la resurrezione della Vita: agitando i rami di palma e acclamando: Osanna nell’alto dei cieli).

Nonostante la maggior parte delle fonti collochi questo canto nel secondo modo (protus plagale), Guglielmo di Auxerre lo identifica nel primo (sempre protus ma autentico) dove, proprio il numero 1, esprime:

primam aetatem, vel quia soli Deo cantandum est

(la prima età o che bisogna cantare a Dio solo).

Si tratta della ripresa di una divisione della vita dell’uomo presente in Agostino dove possiamo leggere: “Sunt enim aetates sex etiam in uno homine: infantia, pueritia, adolescentia, iuventus, gravitas et senectus” (Ci sono sei età nella vita dell’uomo: infanzia, puerizia, adolescienza, gioventù, maturità e vecchiaia). La modalità, in questo caso, diventerebbe descrittiva della condizione di innocenza infantile richiesta all’uomo per lodare degnamente Dio.

Sequitur statim Missa de Passione

(Segue subito la Messa della Passione)

La processione delle Palme conduce alla Chiesa dove viene celebrata la Messa della Passione. In questa celebrazione si fondono due sentimenti: la gioia e la compassione. Leggiamo, infatti,:

“Ibi est, unde letemur, scilicet de amore, quem ostendit nobis in cruce.Et unde tristemur de peccatis nostris, que tanta sunt, quod propter ea oportuit filium dei pati”.

(Lì è dove ci rallegriamo per l’amore [che Cristo] ci dimostra dalla Croce. E dove ci addoloriamo per i nostri molti peccati, per i quali il Figlio [di Dio] ha sofferto.

 Questo momento celebrativo si apriva con la voce di Cristo che prega dicendo:

“Domine ne longe facias auxilium tuum a me ad defensionem meam aspice libera me de ore leonis et a cornibus unicornium humilitatem meam”.

(“O Signore, non allontanare da me il tuo soccorso: volgiti a mia difesa: liberami dalla bocca del leone, e dal corno dell’unicorno salva la mia debolezza”. Sal 21, 20.22)

La Chiesa, attraverso questo canto, fa memoria della Passione del suo Signore ma, allo stesso tempo si proietta oltre la sofferenza e, grazie anche alla modalità espressa nel numero 8, comprende proprio che

“est octavi toni, quia per Passionem venitur ad Resurrectionem”.

(è dell’ottavo modo perché attraverso la Passione si giunge alla Ressurezione).

Postmodum sequitur epistola: “Hoc sentite in vobis, quod et in Christo Ihesu” in qua ostenditur Passio et fructus Passionis:

(Poi segue l’Epistola:

Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù“. Fil 2,5.

dove sono mostrati la Passione e i frutti della Passione).

Nuovamente c’è l’invito ad imitare Cristo e, in particolare, alcune sue virtù: la Carità, l’Umiltà, la Mansuetudine e la Pazienza. Portare nella propria vita quanto vissuto da Cristo nell’ora della prova consente di gustare i frutti della Passione: consolazione per il presente e speranza per il futuro.

“Hec sunt fructus passionis: dulcedo in corde et gloria in futuro”.

(Questi sono i frutti della Passione: dolcezza nel cuore e gloria nel futuro).

Proprio questo tema: “quomodo per passiones venitur ad Gloriam” (come per mezzo delle sofferenze giungiamo alla Gloria), diventa la risposta che canta il Responsorio graduale.


“Tenuisti manum dexteram meam in voluntate tua deduxisti me et cum gloria assumpsisti me”.

(“Mi hai tenuto per la mia destra: e mi hai guidato secondo il tuo volere: e mi hai ricevuto con gloria” Sal 77, 24).

 Nonostante molte fonti lo collochino nel quarto modo, Guglielmo di Auxerre lo commenta come appartente al terzo: “Et dicuntur ibi tria, quare est tercii toni” (in esso sono dette 3 cose e per questo appartiene al terzo modo). A conferma di questo, possiamo notare come sia nel Graduels à l’usage de l’ordre de Cîteaux (NAL 1414), sia nel Missale Traiectense. Winterdeel appartenga al terzo modo.

 Primum est: “tenuisti manum tuam”. Primum est causa crucis” 

(Il primo è: “mi hai tenuto per mano”. Il primo è a motivo della [sofferenza della] Croce).

Secundum est: “et in voluntate deduxisti me”. Secundum est ipsa Crux.

(Il secondo è: “mi hai guidato secondo il tuo volere“. Il secondo significa la Croce stessa).

Tercium est: “quomodo cum gloria suscepisti me”. Tercium fructus ipsius.

(Il terzo è: “mi hai ricevuto con gloria“. Il terzo significa il frutto della Croce.)

Segue il Tratto:


“Deus deus meus respice in me quare me dereliquisti”

(“O Dio, Dio mio, guarda a me: perché mi hai abbandonato?” Sal 21, 2)

Il titolo di questo Salmo, come notano i commentatori medievali, era: “pro susceptione matutina” (per l’aiuto nel mattino) e proprio la sua modalità, il secondo modo, significava  “ibi ostenditur Passio et fructus Passionis” (come in esso si mostrassero la Passione e il frutto della Passione).

Il numero 2, indicante la modalità, richiamava anche un’altra coppia di parole:

propter contumelias et tormenta”

(per le violeze e i tormeni)

come si leggeva nel secondo capitolo della Sapienza: “Contumelia et tormento interrogemus eum” (“Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti” Sap 2,19).

L’Offertorio:

Improperium exspectavit cor meum et miseriam et sustinui qui simul contristaretur et non fuit consolantem me quaesivi et non inveni et dederunt in escam meam fel et in siti mea potaverunt me aceto“.

(Oltraggio e miseria attese il mio cuore : attesi che qualcuno si attristasse con me, e non c’è stato: chi mi consolasse e non l’ho trovato: per cibo mi diedero fiele, e nella mia sete mi hanno abbeverato d’aceto. Sal 69,21)

Nonostante il testo di questa Antifona d’Offertorio esprima la sofferenza dell’ora della Passione, in essa già risuona la Pasqua che da luce proprio al momento buio della sofferenza nell’abbandono e desolazione. L’ottavo modo, infatti, canta la Risurrezione che giungerà come premio per il Servo fedele. Illuminata da questa speranza, allora, la Passione diventa proprio quel “dulcis lignum” (dolce legno) che permette al Figlio di Dio:

libenter patiar. Unde dicit: – expectavit –  quasi rem dulcem“.

(di soffrire volentienti. Proprio dove dice: “ho atteso”, quasi come fosse una cosa dolce)

La modalità, però, si unisce anche alla figurazione melodica nel sottolineare come proprio in questo punto melodico-testuale ci sia una centralità teologica.

Infine anche l’Antifona di Comunione insiste cantando su un ottavo modo:

Pater, si non potest hic calix transire, nisi bibam illum, fiat voluntas tua.

(Padre, se non è possibile che questo calice passi senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà. Mt 26, 42).

Il percorso della intensa Liturgia della Domenica delle Palme chiudeva la Messa con l’orazione:

Per huius, Domine, operationem mysterii: et vitia nostra purgentur, et iusta desideria compleentur.

(O Signore, per l’opera di questo mistero, siano purgati i nostri vizi ed esauditi i giusti desiderii).

In queste poche parole la Liturgia riusciva a raccogliere e sintetizzare il percorso che i fedeli avevano potuto compiere nella celebrazione.

Imitando l’innocenza dei fanciulli ebrei, proprio accogliendo la Grazia che purifica dai vizi terreni, il Cristiano può vivere il Mistero della Passione che entra nella sua storia colmo di un significato illuminato proprio dalla Risurrezione: compimento delle promesse del Padre, desiderio e premio per tutti i suoi figli.

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