Due sono le festività “maiores et magis necessarie inter omnes” (maggiori e maggiormente necessarie fra tutte): la Pasqua e la Pentecoste. Secondo un’antica consuetudine, infatti, anche nel sabato della Vigilia di Pentecoste si celebravano i Battesimi.

Guglielmo di Auxerre così evidenzia questo legame fra le Solennità:
“nichil nobis nasci profuit, nisi redimi profuisset, et redimi nichil profuit, nisi paraclitus mitteretur”
(Nessun vantaggio per noi essere nati, se [Cristo] non ci avesse redenti e a nulla ci sarebbe stata utile la Redenzione se Egli non ci avesse mandato il Paraclito).
Appare interessante come il teologo francese completi il testo dell’Exultet pasquale: “nichil nobis nasci profuit, nisi redimi profuisset” (Nessun vantaggio per noi essere nati, se lui non ci avesse redenti) in prospettiva pentecostale.
Proprio dalla Francia del XII ci è giunta la testimonianza di un Exultet di Pentecoste (conservato nel manoscritto Walters 28: Sacramentario di Reims e Besançon) che accompagnava un Preconio per la Benedictio Cerei Pentecostes (Benedizioni del Cero di Pentecoste).

Come i libri liturgici del X secolo indicano, anche quel sabato prima della domenica di Pentecoste era un Sabato Santo.

Sempre nelle rubriche troviamo che:
“lectiones legantur sicut in Vigilia Paschae“
(si dovevano leggere le Letture come nella Veglia pasquale), ovvero senza i titoli.
I teologi medievali erano colpiti dalla fatto che due celebrazioni così intimamente connesse e con molti elementi celebrativi identici avessero delle Letture diverse. Si chiedevano: “Quare varientur lectiones in vigilia Paschali et Pentecostes” (Perché cambiano le Letture nella vigilia di Pasqua rispetto a quella di Pentecoste?). La risposta partiva dai testi stessi che erano proclamati e dal meditare sulla duplice paternità che la Storia della Salvezza ha offerto all’umanità. Dalla lettura del libro della Genesi si poteva dedurre che:
“Duo sunt Patres, unus secundum carnem, scilicet Adam, […] alter secundum spiritum, scilicet Abraham”

(Due sono i Padri, uno secondo la carne, cioè Adamo, e uno secondo lo spirito, cioè Abramo).
Il libro della Genesi apriva il ciclo delle letture proclamate in entrambe le solenni Veglie. In quella Pasquale, alla narrazione della Creazione (Gn 1, -31; 2,1-2) seguiva la Colletta che diceva: “Deus, qui mirabiliter creasti hominem et mirabilius redemisti” (Dio che mirabilmente hai creato l’uomo e ancora più mirabilmente lo hai redento). Adamo, padre nella carne, simboleggia la grandezza dell’opera della Creazione e, al tempo stesso, la fragilità della condizione umana che necessitava della Redenzione di Cristo. Nella notte di Pentecoste la prima lettura proclamata: locutus est Dominus ad Abraham” (Il Signore parlò ad Abramo. Gn 22,1), narrava come Dio avesse messo alla prova Abramo chiedendo il sacrificio del figlio (Gn 11, 1-19).
Similmente a Pasqua, il carattere catechetico “ut instruantur baptizandi” (affinché venissero istruiti i battezzandi) della prima Lettura “permetteva ai Catecumeni di sentire indirizzate a loro quelle parole:

Vocavit autem angelus Domini Abraham secundo de caelo et dixit:
“Per memetipsum iuravi, dicit Dominus: quia fecisti hanc rem et non pepercisti filio tuo unigenito, benedicam tibi et multiplicabo semen tuum sicut stellas caeli et velut arenam, quae est in litore maris. Possidebit semen tuum portas inimicorum suorum, et benedicentur in semine tuo omnes gentes terrae, quia oboedisti voci meae”.
(Poi l’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio, io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce». Gn 22,15).
Se Adamo è il padre nella carne, Abramo è il padre nella fede e simboleggiava l’uomo obbediente a Dio: liberato e vivo. Alla lectio (lettura) seguiva la prima delle Orationes de Pentecosten die sabbato ante descensum Fontis (preghiere di Pentecoste in giorno di Sabato prima della discesca al Fonte [per la benedizione]):

Deus, qui in Abrahae famuli tui opere humano generi oboedientiae exempla praebuisti, concede nobis et nostrae voluntatis pravitatem frangere, et tuorum praeceptorum rectitudinem in omnibus adimplere.
(O Dio, che nell’opera del tuo servo Abramo hai dato esempi di obbedienza al genere umano, concedi a noi di spezzare la depravazione della nostra volontà e di adempiere in ogni cosa la rettitudine dei tuoi precetti).

Appare davvero significativa l’immagine presentata da Guglielmo di Auxerre quando scrive:
Baptizati sunt stelle
(I Battezzati sono le stelle)
I Battezzati, veri figli di Abramo, hanno la promessa della Terra che, in Cristo e per azione dello Spirito Santo, diventa il Regno dei Cieli.
Anche in quella Notte, dopo l’Epistola seguiva l’Alleluia Confitemini ma ripetuto una sola volta “in gratiarum actionem pro baptizatis” (in ringraziamento per i Battezzati):

Confitemini Domino, quoniam bonus:
quoniam in saeculum misericordia eius.
Celebrate il Signore, perché egli è buono, perché la sua bontà dura in eterno (Sal 105,1).
e il Tractus: Laudate, “propter baptizatos, qui multos tractus miseriarum passuri sunt, si vixerint” (per i Battezzati che soffriranno molte fatiche della miseria se sopravviveranno). Oltre all’interessante sottolineatura che fa capire l’alta probabilità che un battezzato potesse morire prematuramente, la liturgia sembrava ricordare come il Battesimo non doveva essere considerato un punto di arrivo ma di inzio nel cammino spirituale: “quia post Baptismum multi labores restant” (poicé dopo il Battesimo restano molti lavori).

Laudate Dominum, omnes gentes, et collaudate eum, omnes populi.
Lodate il Sigore, voi nazioni tutte! Celebratelo, voi tutti i popoli. (Sal 106,1)
De officio nocturno (L’Ufficio notturno)
“In nocte Pentecostes leguntur tres psalmi cum tribus antiphonis quia Spiritus Sanctus tria operatus est: innovavit, innovatos confirmavit, confirmatos ad alios convertendos misit”
(Nella notte di Pentecoste si leggono 3 salmi con le rispettive 3 Antifone poiché lo Spirito Santo fece tre cose: rinnovò, confermò i rinnovati e mandò i confermati a convertire gli altri).
Lo Spirito che rinnova è descritto con l’Antifona:
Factus est repente de caelo sonus advenientis spiritus vehementis alleluia alleluia

Improvvisamente si fece dal cielo un suono come di vento impetuoso che soffia. (At 2,2)
Lo Spirito che conferma è descritto con l’Antifona:
Confirma hoc Deus quod operatus es in nobis a templo sancto tuo quod est in Jerusalem alleluia alleluia

Conferma, o Dio, quanto hai fatto per noi nel tuo tempio, che sovrasta Gerusalemme. (Sal 67, 28-29)
Lo Spirito che manda ad evangelizzare:
Emitte spiritum tuum et creabuntur et renovabis faciem terrae alleluia alleluia

Mandai il tuo Spirito e sono creati e rinnovi la faccia della terra. (Sal 103,30)
Una caratteristica di queste 3 Antifone era quella “omnes unius sunt toni, scilicet octavi. Quare hoc?” (essere tutte nello stesso modo gregoriano, cioè l’ottavo modo. Perchè questo?).
Il fatto che non cambiassero nella modalità era collegato all’immagine della vita contemplativa “consistit in Dei dilectionem et contemplationem” (che consiste nell’amore e contemplazione di Dio). Il fatto di essere tutte nell’ottavo modo le collegava alle 8 Beatitudini dove il Regno dei cieli è la promessa fatta sia nella prima “Beati pauperes” (Beati i poveri. Mt, 5,3) che nell’ottava”Beati pauperes spiritu” (Beati i poveri in Spirito. Mt, 5,10).
In die pentecostes (Nel giorno di Pentecoste)
“In die Pentecostes celebratur festum de adventu Spiritus Sancti” (Nel giorno di pentecoste si celebra la festa della venuta dello Spirito Santo). A differenza della Risurrezione e dell’Ascensione che furono eventi avvenuti non visibilmente e “potuerunt calumpniari Iudei” (che i Giudei poterono negare), nella Pentecoste “descendit Spiritus sanctus visibiliter in discipulos, sicut Christus promiserat, et loquebantur omnibus linguis coram omnibus” (lo Spirito Santo discese visibilmente sui disceopoli come Cristo aveva promesso e parlavano davanti a tutti in tutte le lingue).

“Ideo incipit introitus: “Spiritus Domini replevit orbem terrarum“
(Per questo l’Introito della Messa inizia con: “Lo Spirito del Signore riempì la terra intera“).
Similmente alla grande R di Pasqua riccamente decorata nel Graduali medievali, anche la S di Pentecoste appare in tutto il suo splendore.
Il testo è un versetto del libro della Sapienza:
Spiritus Domini replevit orbem terrarum, alleluia: et hoc quod continet omnia, scientiam habet vocis, alleluia.

Lo Spirito del Signore riempie l’universo, alleluia: e abbraccia tutto, e ha conoscenza di ogni voce, alleluia (Sap 1,7).
Nella teologia medievale l’ “orbem terrarum” (la terra) era fato coincidere con la Chiesa e il motto: Extra Ecclesiam nulla salus (Al di fuori della Chiesa non v’è salvezza) sembrava parafrasarsi anche fra i versi di questo canto: “Sicut enim extra orbem terrarum nichil vivit ad litteram, sic nichil vivit extra ecclesiam spiritualiter” (Così come nulla vive letteralmente fuori del mondo, nulla vive spiritualmente fuori della Chiesa).
“Hoc quod continet omnia” (questo abraccia ogni cosa) diventava proprio la forza vitale donata a tutta la terra, “id est Spiritus Sanctus, cuius bonitate omnia subsistunt” (cioè lo Spirito Santo per la cui bontà ogni cosa sussite).
La parte finale dell’Antifona “habet scienciam vocis” apre questo Introito nella prospettiva dell’evangelizzazione. Affermare che che lo Spirito ha questo dono significa che “ita potuit dare et dedit apostolis” (così poteva donarlo e lo donò agli apostoli).
Il versetto che seguiva l’Antifona di Introito appartiene al Salmo 67:
Exsurgat Deus, et dissipentur inimici eius: et fugiant, qui oderunt eum a facie eius.

Sorga Dio, i suoi nemici si disperdano e fuggano davanti a lui quelli che lo odiano (Sal 67,2)

I nemici del Signore erano visti nei Demoni e la descrizione dell’azione dello Spirito, in questa prospettiva, si completava della sua potenza esorcistica. Infatti,
“per Spiritum Sanctum enim demones expelluntur et eiciuntur”
(per lo Spirito Santo i Demoni vengono scacciati ed espulsi).
L’Introito di Pentecoste pur avendo un tema pneumatologico non è scritto nel settimo modo gregoriano. Spesso il numero 7 è collegato allo Spirito Santo e alla sua Grazia settiforme.

Il numero che sintetizza la modalità di Spiritus Domini (Lo Spirito del Signore) è 8. A livello teologico, infatti, non sembra essere solo lo Spirito il centro del canto ma la sua azione. Considerando che siamo nell’hodie completi sunt dies pentecostes (oggi si sono copiuti i giorni di Pentecoste) e quindi in un momento temporale di “compimento”, l’8 racchiude il senso di una Storia della Salvezza che in Cristo già è nella sua pienezza e diventa speranza certa per ogni battezzato. La dimensione sottolineata, però, non è solo temporale ma anche spaziale. Nell’8, allora, si incontrano tutte le dimensioni che insistono sull’Orbis terrarum (Orbe della Terra) e che sono raggiunte dalla potenza dello Spirito Santo.
L’Epistola, dagli Atti degli apostoli, si apriva con le parole: “dum complerentur dies Pentecostes” (Mentre si compivano i giorni di Pentecoste At, 2,1). Si trattava, come per quasi tutto il repertorio cantato in questa Messa, di un testo che già era stato meditato e cantato nella notte come testimonia il Responsorio. La sua importanza, inoltre, è testimoniata dall’iniziale D riccamente decorata:

Dum complerentur dies pentecostes erant omnes pariter dicentes alleluia et subito factus est sonus de caelo alleluia tamquam spiritus torrens replevit totam domum alleluia alleluia
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme dicendo: alleluia. Venne all’improvviso dal cielo un suono: alleluia. Quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa. (At 2,1-2)
Il testo proclamato nella Messa, nell’Ufficio notturno era stato modificato creando una bellissima scena in cui gli Apostoli erano radunati assieme cantando Alleluia e il forte fragore che si sente da cielo è un ulteriore canto di Alleluia. Anche la casa, alla fine, si riempie di questo vento che è canto di lode a Dio.
I libri liturgici medievali testimoniano una duplice tradizione dopo l’Epistola del giorno di Pentecoste.
“Post epistolam sequitur graduale. Festum enim paschale terminatum est” (Dopo l’Epistola segue il Graduale. Infatti la festa di Pasqua è terminata).
Beata gens cujus est Dominus Deus eorum populus quem elegit Dominus in hereditatem sibi

Beata la nazione il cui Dio è il Signore, il popolo che si è scelto come erede (Sal 32,12).
“Tamen in quibusdam ecclesiis dicitur duplex alleluia, quia spiritus sanctus dator est gemine stole” (tuttavia, in alcune chiese si dice doppio alleluia, perché lo Spirito Santo è il donatore della duplice stola [natura umana e spirituale]).

Alleluia. Emitte spiritum tuum et creabuntur et renovabis faciem terrae .
Alleluia. Spiritus Domini replevit orbem terrarum, et hoc quod continet omnia, scientiam habet vocis.
Oltre i due Alleluia, molti codici riportano anche un terzo Alleluia di Pentecoste: Veni Sancte Spiritus (Vieni o Santo Spirito):

Come già sottolineato, i testi cantanti nella Messa erano gli stessi che i fedeli avevano potuto meditare nella Notte. Forse, anche per questa ragione, i commentari liturgici medievali non si soffermano ulteriormente su di essi.
La teologia liturgica della Pentecoste appare riassunta nella grande Antifona:
Hodie completi sunt dies pentecostes alleluia hodie Spiritus Sanctus in igne discipulis apparuit et tribuens eis charismatum dona misit eos in universum mundum praedicare et testificari qui crediderit et baptizatus fuerit salvus erit alleluia

Oggi si sono compiuti i cinquanta giorni [il giorno di Pentecoste], alleluia, oggi lo Spirito Santo è apparso ai discepoli nel fuoco, dando loro i doni dello Spirito li ha mandati nel mondo intero per proclamare e testimoniare che chi crederà e sarà battezzato sarà salvo
L‘hodie (loggi) liturgico ha la forza di far coincidere nella dimensione celebrativa l’intera storia della Salvezza. Nella Pentecoste è racchiuso sia il giorno di Pentecoste sia i cinquanta giorni che la precedono: “sicut enim quinquagesima die a pascha fit pentecostes iudeorum, ita et nostrum” (infatti, 50 giorni dopo la Pasqua si celebra la Pentecoste sia per Giudei che i Cristiani). Nel numero 50 era racchiusa la simbologia del Giubileo in cui “omnia debita remittebantur” (tutti i debiti erano perdonati) che nella celebrazione battesimale di Pentecoste si traduce proprio nel “similiter per spiritum sanctum peccata dimittuntur” (similmente per lo Spirito tutti i peccati sono perdonati). Il numero 50 risulta “ex septenario ducto in se ipsum et unitate” (come 7 moltiplicato per 7 e con l’aggiunta di una unità) che, nella simbologia pneumatologica, trova la motivazione: “quia septem dona ab uno dantur” (perché i 7 doni dello Spirito sono dati dall’unico Dio). Sempre il numero 50 risulta dalla somma di 40 e 10. Dopo 40 giorni dalla Pasqua si arriva all’Ascensione e questa quarantina simboleggiava come “Per penitenciam enim fit homo similis deo. Hoc autem est ascendere” (per mezzo della penitenza [simboleggiata nella quaresima] l’uomo è reso simile a Dio. Questo, infatti, significa ascendere). La tappa successiva all’Ascensione, ovvero quel 10 da aggiungere alla quaresima pasquale, porta al Giubileo nella Pentecoste. Grazie alla penitenza l’uomo arriva anche alla libertà.

L’Antifona Hodie completi sunt (oggi sono compiuti) sembra riassumere anche nella sua modalità la forza teologica della simbologia numerologica. Pur parlando dello Spirito e della Pentecoste, non si presenta nel settimo o quinto modo ma proprio nel primo. Il numero 1, secondo le interpretazioni della tradizione, non è un numero ma è la Divinità indivisibile. Solo Dio, infatti, è capace di portare a compimento il tempo terreno per aprire l’uomo ad una dimensione eterna. La penitenza, frutto della buona volontà umana, non è sufficiente. La Grazia che rende liberi e santifica permette all’uomo di andare oltre al tempo per abitare eternamente nei Cieli.
Mai letto o sentito una ricchezza immateriale così approfondita ricavata dal prezioso scrigno del canto gregoriano. La benedico per il bene che potrà fare tra quanti avranno il privilegio di abbeverarsi a questa preziosa fonte spirituale.