L’uso di un cero pasquale nella tradizione della Chiesa risale già ai suoi primi secoli. Alla fine del IV secolo, nel 384, in una lettera a Presidio, diacono di Piacenza, San Girolamo (c.341-420) risponde alla richiesta di comporre un carmen cerei o “poema del cero” quello che potremmo considerare uno dei primi esempi di “Exultet”, ossia di Preconio pasquale. Nella solenne Veglia della notte di Pasqua, il cero, sia consapevolmente che no, è venuto a simboleggiare Cristo, la vera luce, circondata dai Suoi illuminati, i nuovi battezzati, ognuno con una luce più piccola. Nella cera vergine un simbolismo successivo riconobbe la carne più pura che Cristo ha derivato da sua Madre, nello spirito l’anima di Cristo, nella fiamma la divinità della Seconda Persona della Trinità.
Il cero, preparato e benedetto, acceso con il nuovo fuoco e portato processionalmente per avanzare senza paura nelle tenebre della notte che ormai già risplende, diventa per i cristiani un “simbolo sacramentale”. Ma cosa significa “simbolo sacramentale?
Nei documenti del Concilio Vaticano II leggiamo:
«La santa Madre Chiesa ha istituito i sacramentali. Questi sono segni sacri per mezzo dei quali, con una certa imitazione dei sacramenti, sono significati e, per impetrazione della Chiesa, vengono ottenuti effetti soprattutto spirituali. Per mezzo di essi gli uomini vengono disposti a ricevere l’effetto principale dei sacramenti e vengono santificate le varie circostanze della vita».
Sono Sacramentali le benedizioni e, fra di esse, la dedicazione o la benedizione di una chiesa o di un altare, la benedizione degli olii santi, dei vasi e delle vesti sacre, delle campane, l’esorcismo, ecc…
Tornando al nostro Exultet, il Preconio nella Notte santa, possiamo parimenti vederlo come un segno sacro il quale, considerando tutta la nostra ritualità liturgica, si presenta con caratteristiche uniche e degne di riflessione. Prima fra tutte: la struttura. Due forme liturgiche sono combinate nella struttura dell’Exsultet: il vangelo (annuncio) e l’anafora (canone, preghiera di offerta). L’Exsultet è la proclamazione dell’inizio della Pasqua e l’invito a celebrare i Misteri pasquali; quindi, è nella forma di un vangelo, di un annuncio. L’Exsultet è anche benedizione e l’oblazione (offerta) della luce, un rito sacrificale; quindi, sotto forma di anafora, di preghiera che presenta e offre.
Se osserviamo la ritualità che accompagna la solenne proclamazione del Preconio pasquale -l’Exultet– , come il Vangelo è introdotto dalla stessa benedizione che il celebrante dà al diacono prima del canto del Vangelo della Messa: «Il Signore sia nel tuo cuore e sulle tue labbra perché tu possa degnamente e con competenza annunziare il suo annuncio pasquale». Il termine “Paschale praeconium” (lode pasquale), usato in questa benedizione, indica la natura di questo annuncio come grande canto che acclama il Cristo risorto. Le rubriche, cioè quelle indicazioni presenti nel messale, invitano a stare in piedi allo stesso modo con cui si sta alla proclamazione del Vangelo. Il diacono (o il presbitero) è rivestito con un paramento bianco che rappresenta l’angelo presso la tomba che annunciò la lieta novella: «È risorto, come ha detto» e di cui l’evangelista Matteo osserva: «il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve» (Mt 28, 3).
In quanto importante sacramentale e rito “sacrificale simbolico”, l’Exsultet è composto, in secondo luogo, dalla solenne forma liturgica di una anafora o “canone”. Per questo motivo è stato anche chiamato: “Eucharistia Lucernaris”, una variante del termine più antico “Lucernarium”. In esso, infatti, troviamo una struttura che richiama quella di una Preghiera eucaristica: il “pregate fratelli”, il prefazio, una invocazione preconsecratoria, l’oblazione, anamnesi, l’invocazione postconsecratoria, una grande intercessione, e la dossologia.
Con questa peculiare struttura, il Preconio pasquale si rivela un sacramentale molto solenne. Come simbolo del Sacrificio eucaristico, anch’esso, analogamente all’Eucaristia, è «a lode e gloria del suo Nome, per il bene nostro e di tutta la Chiesa». Questo, in altre parole, significa che l’Exultet porta frutti al popolo di Dio, porta una grazia alla Chiesa. Ma quali sarebbero questi frutti? C’è una grazia effettiva che è, in primis, l’atto di fede nella Risurrezione di Cristo e nel memoriale che è la celebrazione pasquale; c’è poi la speranza con cui cerchiamo e desideriamo «le cose di lassù» Col 3,1; e, infine, lo slancio, a vivere anche noi la carità e la misericordia di Dio, per una così grande «gloria meritata per noi dal Redentore» cf. Gv 17.
Ma se le tre virtù teologali: fede, speranza e carità, intessute nella solenne liturgia del cero, fossero troppo difficili da meditare, il canto dell’Exultet ci viene incontro con sette doni di grazia nel concreto del nostro vissuto:
«Il santo mistero di questa notte sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti. Dissipa l’odio, piega la durezza dei potenti, promuove la concordia e la pace».
Accogliamo con fiducia le parole di questo annuncio, diamo ad esse spazio nel nostro cuore perché lo possano davvero infiammare con quella fiamma nuova che è luce che non conosce tramonto: Cristo risorto!