Avvento: una primavera di rinnovamento

Nota etiam quod avicule in vere cantare incipiunt et Ecclesia cantum suum in Adventu inchoat, scilicet Antiphonarium et Graduale. (Praepositinus Cremonensis)

Presta attenzione anche a come gli uccelli in primavera inizino a cantare e, similmente, la Chiesa inizia il proprio canto proprio in Avvento, cioè con l’Antifonario e il Graduale.

Le stagioni della liturgia, nel Medioevo, sembrano non corrispondere a quelle meteorologiche dell’anno e, proprio tra l’autunno e l’inverno, la Chiesa vive la sua primavera liturgica. Il tempo, nel suo ripetersi ciclico, era suddiviso in quattro: tempus renovationis (tempo di rinnovamento): dall’Avvento alla Settuagesima; tempus deviationis (tempo di cambiamento): dalla Settuagesima a Pasqua; tempus reconciliationis (tempo di riconciliazione): da Pasqua a Pentecoste; et tempus peregrinationis (tempo di pellegrinaggio): dalla Pentecoste all’Avvento.

Ma perché l’Avvento è tempo di Primavera?

La risposta aveva un forte fondamento biblico nel libro dell’Apocalisse “Et dixit, qui sedebat super throno: – Ecce nova facio omnia – ” (E disse colui che sedeva sul trono: “Ecco io faccio nuove tutte le cose”. Ap 21,5).

Per adventum Domini omnia nova facta sunt.

Per mezzo dell’Avvento del Signore tutte le cose sono rinnovate.

Il primo dei tempi liturgici, allora, è il tempo della novità, della Primavera in cui, dentro la ciclicità, si vive la freschezza di un nuovo inizio. Prepositino di Cremona utilizza un’immagine simbolica decisamente significativa:

la Chiesa è come un coro di uccellini che a primavera riprendono il loro canto. La natura, in questo caso, diventa strumento per parlare e descrivere due libri liturgici: l’Antifonario e il Graduale. A Primavera (in Avvento), allora, la Chiesa più che iniziare, ricomincia il suo canto dall’inizio di quelle pergamene rilegate che contenevano tutti i canti per la Liturgia delle Ore e della Messa. E non ci sorprende, così, trovare miniati alcuni uccellini proprio posati su quell’incipit (inizio) del canto.

La circolarità dell’Anni Circulum (Anno Liturgico) vedeva la fine come una preparazione all’inizio. La domenica che precedeva la la prima di Avvento aveva come Epistola un brano del profeta Geremia in cui risuonava questo Oracolo del Signore: Ecce dies veniunt, dicit Dominus, et suscitabo David germen iustum (Ecco, verranno giorni – dice il Signore –
nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto. Gr 23,5). Ad esso faceva eco un brano dal Vangelo di Giovanni che si chiudeva dicendo: Hic est vere Propheta, qui venit in mundum! (Questi è davvero il Profeta che deve venire nel mondo! Gv 6,14). I teologi medievali interpretavano questi testi come una certa promissio vere liberationis (promessa sicura di vera liberazione). La Scrittura proclamata in quella Messa era introdotta ermeneuticamente dall’antifona d’Introito che cantava:

Dicit Dominus ego cogito cogitationes pacis et non afflictionis invocabitis me et ego exaudiam vos et reducam captivitatem vestram de cunctis locis.

(Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi
esaudirò: e vi trarrò fuori dalla vostra schiavitù, vi ricondurrò da tutti i luoghi).

Cosa fa la Chiesa dopo aver ascoltato questa promessa di liberazione?

Audita promissione Liberatoris, respirans clamat: “Ad te levavi animam meam!”

Dopo aver ascoltato la promessa del Liberatore, respirando acclama: “A te innalzo la mia anima”. (Sal 24,1)

La promessa della venuta dell’Avvento del Signore e con Lui di un tempo di pace e liberazione è aria vitale per la Chiesa: forza con la quale riempiersi i polmoni per cantare durante l’attesa. Questa, allora, era una teologia che scaturiva proprio dalla simbologia dell’inizio e che si affiancava un’altra immagine tratta dall’incipit (inizio) dei due libri liturgici per il canto.

Il capitolo 21 del libro dell’Apocalisse presenta la visione del “caelum novum et terram novam” (Un cielo nuovo e una terra nuova. Ap 21,1). Dopo il versetto che annuncia: Ecce nova facio omnia (Ecco io faccio nuove tutte le cose. Ap 21,5) e con il quale si fondava la ratio (il perché) del tempus renovationis (tempo di rinnovamento) leggiamo:

Et dixit mihi: “Facta sunt! Ego sum Alpha et Omega, principium et finis”.

(E mi disse: “Ecco tutte le cose sono compiute! Io sono l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine”. Ap 21,6).

I libri usati per il canto, sia per la Messa (Graduale) che per la Liturgia delle Ore (Antifonario), facendo propria questa simbologia alfabetica dell’inizio, cominciavano (e cominciano tutt’ora) con una grande A che, a volte, occupava l’intera pergamena. Una vocale miniata con quella sapienziale cura che solo la preghiera e la meditazione poteva guidare. Si trattava quasi di un’icona, un’allegoria ispirata dalla Parola: «Io sono l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine» (Ap 21,6) e quindi un sacramentale di “Cristo A”: inizio di ogni cosa, anche dell’Anno Liturgico!

Ma di cosa era iniziale quella “A”?

Si trattava di due canti, tra i primi a risuonare nella Chiesa con l’inizio dell’Avvento.

Al mattino si iniziava la lettura del profeta Isaia poiché: legitur enim Ysaias, qui de Adventu loquitur apertius quam aliquis alius propheta (si legge infatti Isaia poiché, rispetto ad altri Profeti, parla in modo più esplicito dell’Avvento). La prima lectio (lettura) vedeva proprio quei primi versetti dove compaiono il bue e l’asino che la tradizione, un po’ alla volta, collocherà anche nel Presepe: “Cognovit bos possessorem suum, et asinus praesepe Domini sui” (Il bue conosce il suo proprietario e l’asino il presepe del suo Signore. Is 1,1-4).

Alla lectio (lettura) seguiva il primo responsorio :

Aspiciens a longe ecce video Dei potentiam venientem et nebulam totam terram tegentem ite obviam ei et dicite: nuntia nobis si tu es ipse qui regnaturus es in populo Israel.

«Guardando da lontano ecco, vedo venire la potenza di Dio e una nube che copre tutta la terra. Andategli incontro e dite: dicci se sei lo stesso “Chi regnerà sul popolo d’Israele?”».

La Chiesa inizia allungando lo sguardo e invita a correre verso il Veniente, il suo re. Ma Lui è ancora adombrato da quel Mistero che è Shekhinah nella presenza e attesa. Una nube che sembra turbare il giorno ma che lascia vedere la luce: il Sole di giustizia che dissipa ogni oscurità.

Potrebbe essere questa, allora, una chiave per poter comprendere la scelta del tonus settimo: simbolo dell’Antico Testamento e, con esso, delle attese e desideri dei Padri antichi, ma anche di quel riposo che è attesa anelante di “cielo nuovo e terra nuova” (Ap 21,1).

Il testo di questo Responsorio, nonostante non sia una citazione letterale della Scrittura, è una forte allusione ad alcuni testi biblici. Oltre alla visione di Daniele: Aspiciebam ergo in visione noctis: et ecce cum nubibus caeli quasi Filius hominis veniebat (Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo. Dan 7,13), c’è un allusione al Vangelo di Matteo.

Si tratta della parabola delle dieci vergini (Mt 25, 1-13) proprio per quel riferimento: “Ite obviam ei” che richiama “Exite obviam ei” (Mt 25,6). Se l’antifona di Introito Quinque prudentes virgines appartiene al quinto tonus, sia il Responsorio Haec est virgo sapiens (Ecco la vergine sapiente), che l’Alleluia Quinque prudentes virgines (Cinque vergini sagge) appartengono al settimo tonus. La Chiesa, all’inizio dell’Anno Liturgico, anche attraverso queste delicate allusioni musico-testuali sembra annunciare che attende proprio il suo Sposo: Cristo!

Questo Responsorio aveva una caratteristica significativa per la teologia liturgica medievale:

Insolito autem modo habet tres versus ad significandum, quod Adventus iste salvat homines trium temporum

In maniera insolita, [questo Responsorio] possiede tre versetti per significare che questo Avvento salva l’umanità nei tre tempi.

L’Avvento del Sole di giustizia, id est humanitatem Filii Dei, que totum mundum salvavit (cioè dell’incarnazione del Figlio di Dio che ha salvato il mondo intero), è un evento che abbraccia l’intera Storia della Salvezza. I tre versetti del Responsorio volevano simboleggiare questa irradiazione storico-salvifica:

  • Il primo per coloro qui fuerunt in tempore ante legem (che furono nel tempo prima della Legge):

Quique terrigenae et filii hominum,
simul in unum dives et pauper.

(Persone semplici e gente nobile, ricchi e poveri insieme! Sal 49,3).

  • Il secondo per coloro che furono sub lege (sotto la Legge):

Qui regis Israel, intende :
qui deducis velut ovem Ioseph.

(Tu, pastore d’Israele, ascolta, tu che guidi Giuseppe come un gregge. Sal 80,2).

  • Il terzo per noi che viviamo in tempore gratiae (nel tempo della Grazia):

Tollite portas, principes, vestras :
et elevamini portae aeternales,
et introibit.

(Alzate, o porte, la vostra fronte, alzatevi, soglie antiche, ed entri il re della gloria. Sal 24,7).

Alla Messa, poi, il primo suono che si ode è il colore della “A” dell’antifona di Introito:

Ad te levavi animam meam Deus meus in te confido non erubescam neque irrideant me inimici mei etenim universi qui te exspectant non confundentur.

«A te, Signore, innalzo l’anima mia, mio Dio, in te confido: che io non resti deluso! Non trionfino su di me i miei nemici! Chiunque in te spera non resti deluso» (Sal 25,1-2).

Non solo lo sguardo si allunga ma anche l’anima si innalza verso il suo Signore. Nonostante il cammino sia ancora molto, i primi canti sono tutti slancio: si inizia con fiducia e con speranza proprio perché è un inizio, un’attesa di novità. L’ottavo tonus, in questa prospettiva, potrebbe alludere alla dimensione escatologica, la meta finale nella quale l’attesa ha il suo compimento.

Un Messale del XIII secolo (F-SEm : Ms 018), probabilmente proveniente dall’Abbazia di Sainte-Colombe de Saint-Denis-lès-Sens o dall’Abbazia di Saint-Pierre-le-Vif de Sens e oggi conservato nella Bibliothèque Municipale di Sens (Francia), rappresenta nella miniatura della “A” di questo Introito quanto letteralmente il Salmo canta. Ad te levavi animam meam (A te, Signore, innalzo l’anima mia. Sal 25,1) vede, graficamente, un chierico in abiti sacerdotali afferrare tra le mani un infante e altus levare (innalzare verso l’alto), sopra l’altare, questa creatura. Si tratta di una tipica simbologia che ritrae l’anima come una bambina. Al canto, allora, sembra unirsi anche la fisicità di questa azione desiderata e vissuta.

Ma proprio l’altus levare, nel Medioevo, diventa oggetto di attenzione per i teologi. Se il testo del Salmo si limita al verbo: levare (innalzare), è la melodia a dare lo slancio e la direzione a queste parole che assumono anche un valore destatorio. Significativo come nella melodia presente in F-SEm : Ms 018, il messale francese citato sopra, i neumi traccino quasi una salita voloce di quinta: allegoria di quel “canite tuba in Sion, vocate gentes” (Suonate la tromba in Sion, chiamate le persone. Gl 2,1) che prepara l’annuncio.

Perchè quest’Introito è un canto che desta?

Se qualcuno, tanto nella concretezza della celebrazione liturgica, quanto nella dimensione spirituale, si fosse addormentato allora:

Cantor elevat vocem suam clamando: Ad te levavi; non incipiendo a superiori descendit inferius sed potius incipiendo ab inferiori ascendit superius in nota, quod proprium est excitantis.

Il cantore eleva la sua voce acclamando: “A te innalzo” (Sal 25,1); non iniziando dall’alto e discendendo ma piuttosto iniziando da una nota inferiore e salendo ad una superiore. Questo [movimento ascendente] è proprio di ciò che sveglia.

Il tema del risveglio appartiene, con forza, alla liturgia della prima domenica di Avvento. Non solo l’Introito, allora, ne parla ma anche l’Epistola di quel giorno:

«Fratres: Sciéntes quia hora est iam vos de somno surgere; nunc enim propior est nobis salus quam cum credidimus. Nox processit, dies autem appropiavit. Abiciamus ergo opera tenebrarum et induamur arma lucis».

«Fratelli: È ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino» (Rm 13,11-12).

Avvento: tempo di risveglio perché arriva la Luce.

L’Avvento, allora, inizia con un’alba di primavera: l’attesa della nascita del Sole, il Cristo che ci riveste di luce. Così commentava Guglielmo di Auxerre (1145-1231) quella parte della Lettera ai Romani che dice: Induamur arma lucis. Sicut in die honeste ambulemus […] induite Dominum Iesum Christum et carnis curam ne feceritis in concupiscentiis. (Indossiamo le armi della luce e camminiamo onestamente in pieno giorno […]. Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non lasciatevi prendere dai desideri della carne. Rom 13,12.14). Era l’invito ad iniziare l’Anno liturgico camminando nella luce e facendolo honeste in bonis operibus (onestamente e nelle buone opere). L’Epistola sembra proprio riprendere quell’imperativo: “Exite obviam ei” (Uscite nella via. Mt 25,6) che era risuonato nel Responsorio prolisso collegando, idealmente, la visio noctis (visione notturna) del profeta Daniele (Dan 7,13) riguardante il Figlio dell’uomo veniente, il media autem nocte clamor factus est (A mezzanotte ci fu un forte clamore) del Vangelo di Matteo (Mt 25,6) che annuncia l’arrivo dello Sposo e l’hora est iam vos de somno surgere (è gia ora di risvegliarvi dal sonno) per indossare arma lucis (le armi della luce) dell’Epistola appena vista (Rm 13,11-14).

Il tema cristologico della luce, associato anche al risveglio, sembra ritmare tutto l’inizio e il proseguo di questo tempo liturgico. Possiamo prendere alcuni esempi di riferimento tratti dagli Inni:

Creator alme siderum, aeterna lux credentium, Iesu, Redemptor omnium, intende votis supplicum.

Benigno Creatore degli astri, eterna Luce dei credenti, o Gesù, Redentore di tutti, ascolta le preghiere dei supplici.

Verbum supernum prodiens e patris aeterni sinu […] Ilumina nunc pectora tuoque amore concrema.

O Verbo divino, procedente dal seno del Padre eterno […] Ora illumina i cuori e del tuo amore accendili. 

En clara vox redárguit, Obscúra quæque, pérsonans: Procul fugéntur sómnia: Ab alto Jesus prómicat. […]. Sidus refúlget jam novum, Ut tollat omne nóxium. […] Ut, cum secúndo fúlserit.

Ecco, una chiara voce rimprovera ogni oscurità, risuonando. Lontano fuggano i sogni: dall’alto sorge Gesù […]. Un nuovo Astro già rifulge per togliere ogni colpa. […] Affinché, quando per la seconda volta rifulgerà.

Tornando nuovamente alla Messa, notiamo come il Salmo 24 torni, non solo all’Introito, ma anche nel Graduale e nell’Offertorio.

Guglielmo di Auxerre, commentandoli, insiste nel sottolineare come in essi sia presente il tema della Speranza, anzi, di un’alba di Speranza: in quo ostenditur spes, que facta est in ortu solis (In essi si mostra la Speranza che riceviamo dal sorgere del Sole).

L’altro Salmo che risuona nella Messa di questa prima domenica di Avvento e il Salmo 85: sia nell’Alleluia che nell’antifona di Comunione.

Ostende nobis, Domine, misericordiam tuam: et salutare tuum da nobis.

(Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza. Sal 85,8).

L’imperativo ostende (mostraci), per alcuni teologi medievali, richiamava il Vangelo di Marco dove si narra l’episodio del cieco di Gerico: Cum dixit Dominus caeco: “quid vis, ut faciam tibi?” Respondit: “Raboni, ut videam” (Quando il Signore chiese al cieco: “cosa desideri che faccia per te?” Ed egli rispose: “Maestro, che io possa vedere”. Cf. Mc 19,51). La Chiesa chiede al suo Signore di vedere il suo volto, il volto di Misericordia che può salvare. Solo con l’Avvento si compie questo miracolo: quia erant “in regione umbre mortis, sed lux orta est eis”, ut possimus videre (Perchè eravamo nella regione dell’ombra di morte, ma una luce è sorta per noi affinché potessimo vedere. Cf. Is 9,1).

Postcommunio de eodem et propter idem (E dallo stesso Salmo e per la stessa ragione [la Speranza]) è l’antifona di Comunione:

Dominus dabit benignitatem:
et terra nostra dabit fructum suum

Il Signore donerà il suo bene
e la nostra terra darà il suo frutto (Sal 85,13)

Il cristiano sosta a contemplare l’alba ma ha già la bisaccia in spalla e il bastone in mano per mettersi in cammino e fare il bene. Sa che la luce del Sole lo accompagnerà nella strada e sa la meta che lo attende. La sua Speranza è certa: una promessa di bene che è terra già colma di frutti verso cui incamminarsi in questo tempo compreso tra il primo Avvento del Salvatore e il suo secondo Avvento alla fine dei tempi.

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