“Haec dies”: il giorno che dura sette giorni

La celebrazione della Pasqua e la Grazia che da essa deriva come dono per tutti noi, è un Mistero talmente grande che non può contenersi in un solo giorno. Questo concetto teologico viene incarnato nella Liturgia attraverso quelli che sono i signa sensibilia (segni sensibili) come leggiamo in Sacrosanctum Concilium al n. 7. Non si tratta di una scoperta dei tempi recenti ma di una consapevolezza che la Chiesa sembra aver sempre fatto propria. Anche per questo, il linguaggio liturgico diventa forza per parlare di Dio a tutti attraverso segni che raggiungono il cuore e la mente dell’uomo passando, prima, proprio attraverso l’esperienza concreta di ciò che vediamo, ascoltiamo, tocchiamo, gustiamo…

L’impossibilità di racchiudere il Mistero pasquale in una sola celebrazione si concretizza, così, in una dilatazione del giorno di Pasqua che lo fa durare 7 giorni. Si tratta delle Feriae Paschales (i giorni della settimana che seguono Pasqua), un tempo anticamente riservato alla Mistagogia e che, anche nel Medioevo, mantiene il nome di: De octo diebus neophytorum (L’Ottava dei Neofiti).

Il segno concreto con cui la Liturgia ribadisce che è sempre Pasqua, come Amalario di Metz commenta, è che per 7 giorni:

“In Sacramentario cantamus. Vere dignum et justum est, aequum et salutare, te quidem omni tempore, sed in hac potissimum die gloriosius praedicare; 

(Nel Sacramentario cantiamo: E’ veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, proclamarti [o Signore] in ogni tempo ma soprattuto in questo giorno glorioso e più importante fra tutti).

[et ] cantores quotidie cantant: Haec dies quam fecit Dominus”.

(e i Cantori, ogni giorno, cantano: “Questo è il giorno che ha fatto il Signore“).

La Praefatio e il Responsorio graduale affermano che, nonostante sia lunedì, martedì, mercoledì, ecc., si tratta sempre dello stesso dies (giorno) di Pasqua nel quale cantiamo e proclamiamo incessantemente la tua gloria, o Signore.

Per il giorno di Pasqua, la Liturgia prevedeva come Epistola: “Fratres: Expurgate vetus fermentumut sitis nova conspersio” (“Fratelli: togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova“. 1Cor 5,6-8). Ad essa seguiva il Responsorio graduale:

Haec dies quam fecit dominus exsultemus et laetemur in ea.

St. Gallen, Stiftsbibliothek / Cod. Sang. 342 – Calendar, Lectionary, Gradual, Sacramentary / p. 193

Questo è il giorno che fece il Signore: esultiamo e rallegriamoci in esso.  Sal 117, 24

In un Sermone pasquale, Innocenzo III dice:

Cum omnes dies faciat Dominus, quaenam dies est tam celebris et solemnis de qua specialiter dicitur: Haec dies quam fecit Dominus, etc.? Haec est dies resurrectionis Dominicae, in qua Christus resurgens a mortuis, spem de securitate ac certitudine nobis tribuit ac immortalitatis gloriam resurgendi, ut in quo praecessit sublimitas capitis, illuc et corpus humilitatis subsequatur”.

(Poiché tutti i giorni sono creati dal Signore, quale giorno è così importante e solenne, di cui si dice in modo speciale: “Questo è il giorno che ha fatto il Signore, ecc.“? Questo è il giorno della Risurrezione di nostro Signore, nel quale [giorno] Cristo, risuscitando dai morti, dona anche a noi la speranza e la gloria dell’immortalità frutto della Risurrezione, affinché la realtà nella quale ci ha preceduto la sublimità della testa possa essere raggiunta anche dall’umiltà del corpo).

Per questo, allora, Pasqua è il giorno potissimus (il più grande), così grande da dilatarsi nei giorni che lo seguono ma restando sempre:  “quasi una dies dominica” (un solo giorno del Signore”.

Se il Graduale e la Praefatio concretizzano questo concetto teologico, i giorni dell’Ottava di Pasqua non si presentano come una statica ripetizione della Liturgia del giorno di Pasqua. Il primo elemento che li distingue, infatti, è il loro Introito. Si tratta di quanto rimane di un percorso mistagogico per i nuovi battezzati ai quali, ora, non sono più gli antichi Padri della Chiesa ma la stessa Liturgia a rivolgersi per spiegare loro il Mistero che hanno celebrato e come debbano viverlo.

Sequentes dies et noctes baptismales ostendunt qualiter in ipsa Ecclesia secundum Christi doctrinam vivere debeamus.

(I giorni e le notti che seguono [la Pasqua] sono battesimali e ci mostrano come nella Chiesa dobbiamo vivere secondo gli insegnamenti di Cristo).

I Neofiti, proprio in questi primi istanti di “vita nuova”, non sono lasciati soli ma vengono accompagnati attraverso una catechesi in cantu (attraverso il canto). Un insegnamento necessario poiché non si realizzi ciò di cui ci ammonisce il Vangelo di Luca:

“Cum immundus spiritus exierit de homine, perambulat per loca inaquosa quaerens requiem; et non inveniens dicit: – Revertar in domum meam unde exivi -. Et cum venerit, invenit scopis mundatam et exornatam. Et tunc vadit et assumit septem alios spiritus nequiores se, et ingressi habitant ibi; et sunt novissima hominis illius peiora prioribus ”.

(Quando lo spirito impuro esce dall’uomo, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo e, non trovandone, dice: “Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito”. Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora. E l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima. Lc 11, 14-26).

Con questo fondamento nella Parola del Signore possiamo affermare che: “Sequuntur septem dies, qui perinent ad opus bonum, ne vacua domus invadatur”. ([Al giorno di Pasqua] seguono 7 giorni che hanno come obiettivo le opere buone affinché la dimora vuota non sia invasa [dagli spiriti maligni]. L’abitazione vuota, pulita e adorna è il simbolo dell’uomo nuovo rinato nel Battesimo. Come tutte le realtà che ancora profumano di freschezza, è fragile e può essere soggetta alla tentazione del Maligno. La Liturgia offre un insegnamento che è rimedio e difesa contro l’antico Nemico: spiegando i frutti della realtà sacramentale ricevuta vengono dati i fondamenti morali per vivere la Grazia e orientare la propria vita nel pellegrinaggio terreno.

Proviamo, allora, a percorrere in modo sintetico questo percorso pasquale attraverso il canto degli introiti dell’Ottava di Pasqua.

  • Feria I” (Domenica): “Resurrexi” (Sono risorto)

Resurrexi et adhuc tecum sum alleluia posuisti super me manum tuam alleluia mirabilis facta est scientia tua alleluia alleluia.

Sono risorto e sono sempre con te; hai posto su di me la tua mano, mirabile si è dimostrata la tua scienza. Alleluia (Sal 138,18.5-6).

Di questo Introito e di come esso dia voce anche ai Neofiti ne abbiamo già parlato qui: Resurrexit.

  • Feria II” (Lunedì): “Introduxit vos” (Vi ha introdotti)
St. Gallen, Stiftsbibliothek / Cod. Sang. 342 – Calendar, Lectionary, Gradual, Sacramentary / p. 193

Introduxit vos dominus in terram fluentem lac et mel alleluia et ut lex domini semper sit in ore vestro alleluia alleluia.

Il Signore vi ha fatto entrare in una terra dove scorrono latte e miele; la legge del Signore sia sempre sulla vostra bocca. Alleluia. (Cf. Es 13,5.9)

Quod promisit in Veteri Testamento, ut introduceret nos in terram fluentem lac et mel, dicit ecclesia in introitu secunde ferie: “introduxit vos Dominus in terram” (Ciò che venne promesso nell’Antico Testamento, ovvero che saremmo stati condotti in una terra dove scorrono latte e miele, lo afferma ora la Chiesa [come realtà compiuta]: “Vi ha introdotto il Signore in una terra”.

La Liturgia, infatti, si permette di cambiare la Parola di Dio dove leggiamo, nel Libro dell’Esodo,:

Cumque introduxerit te Dominus in terram Chananaei et Hetthaei et Amorraei et Hevaei et Iebusaei, quam iuravit patribus tuis, ut daret tibi, terram fluentem lacte et melle; celebrabis hunc morem sacrorum mense isto“.

(“Quando il Signore ti avrà fatto entrare nella terra del Cananeo, dell’Ittita, dell’Amorreo, dell’Eveo e del Gebuseo, che ha giurato ai tuoi padri di dare a te, terra dove scorrono latte e miele, allora tu celebrerai questo rito in questo mese“. Es 13,11).

La promessa che nel testo biblico vede un tempo verbale al futuro (introduxerit), nell’Introito diventa un tempo verbale compiuto (introduxit) che descrive una realtà nella quale i Battezzati sono già stati condotti.

  • Feria III” (Martedì): “Aqua sapientiae” (Acqua della Sapienza)
SENS, Bibliothèque municipale, 018 

Aqua sapientiae potavit eos alleluia firmabitur in illis et non flectetur alleluia et exaltabit eos in aeternum alleluia alleluia

L’acqua della sapienza li ha dissetati, li ha resi saldi e non verrà mai meno: a loro sarà data gloria eterna. Alleluia. (Cf. Sir 15,3-4)

Tota hec feria est de cognitione dei sive sapientia. Vnde introitus est: “aqua sapientie” de septimo tono, quia septimum donum est spiritus sancti ista sapiencia. (L’intero Martedì riguarda la conoscenza di Dio, ovvero il dono della Sapienza. Per questo l’Introito è “Acqua della Sapienza” del settimo modo gregoriano perché il 7 simboleggia questa Sapienza come dono dello Spirito Santo). Anche in questo caso il testo del Libro del Siracide riporta una promessa espressa con verbi al futuro:

Cibabit illum pane vitae et intellectus et aqua sapientiae salutaris potabit illum, et firmabitur in illa et non flectetur“.

(“Lo nutrirà con il pane dell’intelligenza, e l’acqua della sapienza gli darà da bere. Egli si appoggerà su di lei e non vacillerà“. Sir 15,3).

Il dono della Sapienza che i Neofiti hanno ricevuto nel Battesimo contiene anche una promessa di eredità futura. L’Introito, infatti, si conclude con una verbo al futuro: et exaltabit eos (e li esalterà) per indicare una azione che, iniziata nel Battesimo, sarà piena nell’eternità della dimensione escatologica verso cui tendiamo. La vera Sapienza del cristiano, allora, è quella della consapevolezza di essere sempre in cammino verso la gloria eterna che già ora pregustiamo.

  • Feria IV” (Mercoledì): “Venite benedicti” (Venite, benedetti)
Cologny, Fondation Martin Bodmer / Cod. Bodmer 74 – Graduale · Troparium · Sequentiarium / f. 84r


Venite benedicti Patris mei percipite regnum alleluia quod vobis paratum est ab origine mundi alleluia alleluia alleluia.


Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno
preparato per voi fin dalla creazione del mondo. Alleluia.
(Mt 25,34)

Il Mercoledì è un invito: “In quarta feria invitamus ad intrandum in terram promissionis” (in questo giorno invitiamo ad entrare nella Terra Promessa). Potrebbe sembrare un invito non coerente con quanto affermato nell’Introito del lunedì ma, al contrario, è la logica conseguenza di quanto anticipato al martedì. Il Cristiano deve imparare che la sua Patria è nei cieli e il tendere ad essa deve essere il suo stile di vita. “Quia vero Dominus dicit: “penitenciam agite, apropinquabit regnum celorum”, et quanto magis purificati erimus per penitenciam, tanto magis apropinquabimus“. (Perché veramente dice il Signore: fate penitenza perché si avvicina il Regno dei Cieli (Mt 3,2) e quanto più saremo purificati per mezzo della penitenza tanto più ci avvicineremo [al Regno]).

Come scriveva Prepositino di Cremona:

ad hoc perveniri opportet per fidem, spem et caritatem“.

(Al Regno dei Cieli si giunge attraverso la Fede, la Speranza e la Carità).

Per questo, i tre giorni che seguono, vedono nei loro Introiti anche il tema delle Virtù teologali

  • Feria V de Fide” (il Giovedì della Fede): “Victricem manum tuam” (La tua mano vittoriosa)
E-SAu (Salamanca) Universidad, Archivo y Biblioteca Ms 2637

Victricem manum tuam domine laudaverunt pariter alleluia quia sapientia aperuit os mutum et linguas infantium fecit disertas alleluia alleluia

Lodarono unanimi la tua mano vittoriosa perché la Sapienza aprì la bocca dei muti e rese eloquente la lingua degli infanti. Alleluia. (Cf. Sap 10,20-21)

Quinta feria est de conversione gentium per Christi Passionem et Resurrectionem. (Il Giovedì concerne la conversione dei popoli per mezzo della Passione e Risurrezione di Cristo). L’azione diretta della Sapienza, che è Cristo stesso, sulla vita dei Cristiani è quella guarire dall’impossibilità di lodare Dio. Infatti: “gratia, per quam aperitur os, et repulso diabolo per auxilium Dei, nichil aliud restat nisi laudare” (Aperta la bocca per mezzo della Grazia e cacciato il Diavolo per mezzo dell’aiuto divino, non ci resta che lodare [Dio]). Ciò che realizza Cristo con l’indemoniato muto (Lc 11,14) si ripete nel Battesimo di ogni Cristiano poiché: “genus humanum erat prius mutum a laude Dei, sed per Fidem apertum est” (l’umanità prima era muta e non poteva lodare Dio, ma, per la fede, ha potuto aprire la sua bocca). Questo da compimento alla promessa fatta attraverso le parole del Profeta che aveva parlato proprio della guarigione dal mutismo e dello sgorgare di acqua:

Tunc saliet sicut cervus claudus, et exsultabit lingua mutorum, quia erumpent in deserto aquae, et torrentes in solitudine“.

(“Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa“. Is 35,6).

  • Feria VI de Spe” (il Venerdì della Speranza): “Eduxit eos” (Li ha fatti uscire)
Einsiedeln, Stiftsbibliothek / Codex 121(1151) – Graduale – Notkeri Sequentiae / p. 220

Eduxit eos Dominus in spe alleluia et inimicos eorum operuit mare alleluia alleluia alleluia

Il Signore li condusse fuori nella speranza e sommerse i loro nemici nel mare. Alleluia. (Cf. Sal 77,53)

Sexta feria est de institutione Baptismi. (Il Venerdì parla dell’istituzione del Battesimo). L’Introito allude in modo esplicito al racconto narrato nel Libro dell’Esodo (Es 12-15) che i Neofiti, come Catecumeni, avevano ascoltato nella Veglia pasquale. Il testo del Salmo 77 “Deduxit eos in spe” (“Li conducesti nella speranza”. Sal 77,53) richiama quanto leggiamo in Deuteronomio: “Eduxit nos Dominus de Aegypto” (“C’hai fatto uscire dall’Egitto”. Dt 26,8) che simboleggia l’uscire “de tenebris peccati” (dalle tenebre del peccato). I nostri nemici, però, non sono ora gli Egiziani ma i peccati che vengono sommersi dal lavacro del Battesimo prefigurato nelle acque del Mar Rosso. Il tema della Speranza appare esplicito nel testo stesso di quanto si canta: “Eduxit eos Dominus in spe”.

Il verbo e-ducere descrive proprio quell’uscita dalla schiavitù che fu un’esperienza di liberazione. Il cammino intrapreso dal popolo di Israele si fondò nella sicurezza di una Speranza che Dio aveva comunicato attraverso parole e segni affidati a Mosè.

Oggi, nella Chiesa, è la Liturgia a consegnare la Parola di Speranza ai Figli della Chiesa i quali possono fare l’esperienza di liberazione e, proprio in questa Parola, trovare la forza che dona sicurezza per intraprendere il cammino, sempre in uscita, che è la vita cristiana.

  • Sabbatum de Caritate” (il Sabato della Carità): “Eduxit Dominus populum” (Il Signore ha liberato il suo popolo)
Graduale Albiense [Graduel à l’usage de l’Abbaye Saint-Michel]. Gaillac

Eduxit Dominus populum suum in exsultatione alleluia et electos suos in laetitia alleluia alleluia


Il Signore ha liberato il suo popolo con esultanza, i suoi eletti con gioia. Alleluia. (Cf. Sal 104,43)

Il Sabato è un giorno escatologico. “Hoc maxime de extremo sabbato intelligimus, quando erit verum sabbatum“. (Questo lo capiamo soprattuto circa l’ultimo sabato, quando ci sarà il vero Sabato). Ancora una volta, nel testo dell’Introito convivono la realtà acquistata dai Neofiti, cioè essere stati liberati dal peccato, e la tensione escatologica, la meta del cammino appena iniziato.

La gioia che proviamo ora è un anticipo del “vero Sabato”, del tempo eterno di riposo che ci sarà concesso dopo la morte ed in attesa della gioia eterna. Ma cosa rende possibile la gioia presente e quella futura?

Caritas enim dilatat cor ad exultationem

(È la Carità che dilata il cuore perché possa esultare), l’esperienza del vero amore che i Cristiani possono apprendere da Cristo è anch’essa esperienza di liberazione e, proprio un cuore libero, è un cuore che canta ed esulta nella gioia presente e futura.

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