Oculi mei semper ad Dominum. Liberati per l’umiltà della confessione.

Anche la comprensione dell’introito della terza domenica di Quaresima necessita della sua contestualizzazione liturgica originaria alla luce dell’interpretazione teologica medievale. Una domenica che viene definita dominica

«de salvatione per confessionem»

(della salvezza per la confessione).

Infatti, come Guglielmo di Auxerre commenta «in dominica tercia, que est sexta septuagesime, agitur de saluatione» (nella terza domenica di Quaresima, che è la sesta della settuagesima, si parla della Salvezza).

Tutta la giornata liturgica era fondata su un sapienziale progetto celebrativo che poneva in dialogo quanto cantato nell’Ufficio notturno, quanto cantato nella Messa e persino la statio quaresimale, alla luce del significato teologico del numero 6 e del numero 7.

La sesta domenica (sesta poiché dalla domenica di Settuagesima erano passate 6 domeniche) «respicit sextam etatem, in qua facta est salus, unde tota illa ebdomada est de salvatione» (riguarda la sesta età, quando venne donata la salvezza, perciò tutta quella terza settimana di Quaresima ci parla della salvezza).

Nella scansione temporale medievale, alla sesta età corrispondeva la recezione di quanto scritto da Agostino: «ab adventu Domini usque ad finem saeculi» (quel periodo dall’Incarnazione del Signore alla fine dei secoli).

L’uomo non si può salvare se non attraverso l’esperienza dell’umiltà della confessione, esperienza duplice: «peccati et laudis» (confessione del peccato e di lode) e, proprio per questo,

«cantat ecclesia in introitu misse: “oculi mei semper ad dominum, quoniam ipse evellet de laqueo pedes meos (Sal 24, 15)”»

(la Chiesa canta nell’introito della messa: “I miei occhi sono sempre rivolti al Signore: egli libera dal laccio il mio piede”).

L’esperienza della liberazione confessata col Salmo 24 riassume l’esperienza di Giuseppe in Egitto (Gn 37-50) liberato dalle mani dei fratelli e dal carcere proprio per la sua umiltà confessata. Questo racconto biblico, infatti, veniva meditato nell’ufficio notturno con la consapevolezza che Giuseppe è figura della passione di Cristo. La celebrazione, allora, si arricchiva dell’immagine allegorica della «sexta autem feria dominus crucifixus est» (feria sesta, quando Cristo venne crocifiso) e della «statio ad sanctum Laurentium» (stazione quaresimale alla Basilica di san Lorenzo al Verano), memoria della passio (martirio) di un martire «qui per confessionem liberatus est» (che è stato liberato per la confessione della sua fede).

Alle letture notturne facevano eco le letture della Messa. Il brano di Efesini: «Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore. Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi» (Ef 5, 1-3), è un invito a come debba essere la confessione «scilicet in perseverantia […] in bona vita» (ossia nel perseverare in una vita buona) e quale sia il premio dei perseveranti: il Regno dei Cieli.

Il Vangelo, la pericope del demonio muto, (Lc 11, 14-20) è la testimonianza di come il dono della grazia di Cristo sia l’unico che può cacciare il male che rende muti e divide e, così, consentire all’uomo di confessare la grandezza di Dio.

Anche il Responsorio graduale, Exsurge Domine (Sorgi, o Signore), «ad hoc etiam respondet» (risponde a questo), quasi con la forza di una invocazione esorcistica contro quel diavolo «qui nobis intendit auferre regnum celorum» (che cerca di portarci via il Regno dei Cieli).

Il tema del dono della grazia in relazione al perdono dei peccati e alla confessione della grandezza del Signore pervade proprio l’introito:

«per septiformem enim gratiam spiritus sancti evellitur homo de laqueo diaboli»

(proprio per la grazia settiforme dello Spirito Santo l’uomo è liberato dal laccio del diavolo).

E come “dipingere” la Grazia? Il linguaggio del canto gregoriano si serve, per questo, della modalità: l’introito

«est septimi toni»

(appartiene al settimo modo)

un sapiente modo per cantare l’esperienza della liberazione per mezzo dell’umiltà della confessione.

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